"Mamme Connesse"
Informazioni virtuali per connessioni reali.
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
In questa guida ti parlerò di come gestire le emozioni di tuo figlio, o meglio del tuo nativo digitale e di come questo possa essere importante per la sua crescita e per la tua autostima. Ti rivelerò le strategie che io stessa utilizzo con bambini, adolescenti e giovani adulti e che ogni giorno utilizzo anche con me stessa. Sei pronto? Si inizia! Per anni sono andata in analisi e, si sa, all’interno di un percorso di cambiamento è possibile che emergano in noi emozioni di vario genere, talvolta sono state emozioni da liberare, talvolta sono state emozioni da accettare, talvolta sono state emozioni da consapevolizzare e talvolta da incanalare in qualcosa d’altro perché distruttive. Sto per dirti quale è la mia modalità di avere a che fare con le mie emozioni, ma anche con quelle delle persone che seguo tutti i giorni, sia nella vita privata, che nel mio lavoro per servizi sociosanitari del territorio e in libera professione, Perché lo faccio? Perché ritengo che tutti nel 2018 dovrebbero conoscere le basi di quella che è la psicologia, una scienza che non deve avere a che fare con l’idea di pazzia, ma dovrebbe avere a che fare con l’idea di prevenzione e di miglioramento, perché trovo necessario che i professionisti non si pongano su un piedistallo e rimangano inarrivabili, ma che svelino quelle che sono tecniche utili anche per gli altri. Spero che in molti provino a mettere in pratica quello che scriverò qua di seguito. E credo che, ad ognuno che si predisponga a leggere davvero questa guida, possano arrivare idee utili per raggiungere il cambiamento o risultati differenti, o anche solo stimoli che possano fare riflettere. Ho iniziato a sperimentarmi con le mie emozioni già da giovanissima, al Liceo. Forse è questo il motivo per cui mi piace lavorare così tanto con gli adolescenti, comunque.. Sono sempre stata una persona a cui piace andare fino in fondo e se sento qualcosa che non va in me, mi chiedo sempre il motivo e voglio maneggiarla, non la lascio mai perdere, in fondo perché dovrei, si tratta di me stessa. Quello di cui sto per parlarti non è quindi la solita guida alla gestione delle emozioni, ma è la mia esperienza con le mie emozioni e quelle altrui condensata in un articolo. Una volta che avrai finito di leggerla avrai sicuramente più chiaro cosa sono le emozioni, come funzionano, come si gestiscono e come bisogna interagire con quelle altrui. Ti prego, fanne buon uso! P.S. Se vorrai approfondire la questione emozioni, ho creato questo nascente gruppo su Facebook che ho chiamato Piccolo Spazio Psicologia, dove ciascuno può scrivere la sua opinione e chiedere agli altri dei feedback, è possibile così comprendere che non si è soli al mondo a vivere certe situazioni, ma che c’è sicuramente qualcuno simile a noi con cui si può avere la possibilità di confrontarsi, anche solo per imparare nuove cose o fare nuove riflessioni. Se ti va iscriviti gratis a questo link: Gruppo Facebook Piccolo Spazio Psicologia. Riprendiamo. Il 70% dei genitori che si rivolge ad uno psicologo ha un problema. Quale? *Mio figlio fa fatica a contenere la rabbia, mio figlio ha gli attacchi di panico, mio figlio ha paura a dormire solo, mio figlio è timido, mio figlio piange spesso, specie quando lo lascio a scuola e io devo andare al lavoro, o ancora mio figlio disobbedisce…. e potrei andare avanti all’infinito* Queste frasi le ho sentite moltissime volte quando ho incontrato i genitori di bambini ed adolescenti. Talvolta, le descrizioni che i genitori fanno corrispondono esattamente alla realtà, ovvero mia figlia ha gli attacchi di panico e così è veramente, in molti altri casi, invece, il bambino ha provato un’enorme e stratosferica paura, con tutti i segni fisiologici della paura, ma non ha avuto un attacco di panico! Chiariamoci bene, perché non si può parlare per sentito dire o per clichè: gli attacchi di panico sono una cosa e la paura è un’altra. Essere depresso è una cosa e la tristezza ed il dolore sono un’altra. Essere violenti è una cosa ed essere arrabbiati è un’altra. Essere esaltati è una cosa e la gioia è un’altra.. Potrei andare avanti così per tutte le emozioni che conosco, rimane il fatto che un’emozione è differente da uno stato d’essere. Vediamo di più. Cos’è un’emozione? Un’emozione è uno stato psichico ed affettivo momentaneo con conseguente reazione psicofisiologica e conseguente espressione facciale riconoscibile nelle varie culture ed è dovuta a qualcosa che è accaduto o al nostro interno o al nostro esterno. Esempio: Greta ha iniziato a porsi domande relative al padre, che non vede più da mesi perché ha abbandonato la famiglia. Queste domande l’hanno portata a piangere a dirotto, poiché hanno innescato un’emozione di tristezza in lei, tanto che quando piangeva le si “muoveva tutta la pancia”. Queste sue domande interne l’hanno portata a percepire tristezza. L’abbandono del padre, che è un evento esterno, è la causa esterna delle sue domande che poi l’hanno portata alla tristezza. Ora ascoltami bene, ci sono almeno 3 concetti molto importanti nella definizione stessa di emozione: 1. È momentanea il che vuole dire che se quell’emozione diventa prolungata nel tempo è diventata o un sentimento, o è uno stato d’essere/stato d’animo e non è più un’emozione, infatti, le emozioni come iniziano così si concludono. Quanto durano, questo dipende da quanto il corpo impiega ad elaborarne la sensazione, ma il processo è in termini di minuti, ore, giorni o mesi (solo per quelle più complesse). Greta, la ragazza dell’esempio di prima, ha iniziato la sua emozione di tristezza quando la sua mente ha cominciato a sondare certi pensieri, poi ha avuto un culmine nello sfogo di pianto ed infine ha avuto una conclusione facendosi un bagno caldo e coccolante. Durata media 1 ora. 2. Provoca una conseguente reazione fisiologica, cioè una reazione del corpo che modifica il suo stato di neutralità in cui normalmente si trova. Le reazioni dipendono dalla persona in parte, ma soprattutto dall’emozione stessa, mai sentito dire di una persona arrabbiata che perde la testa, che diventa rosso di rabbia, che “calmati perché ti viene un infarto!”. Ecco la rabbia può dare questi segnali fisiologici: accelerazione cardiaca, accelerazione respiratoria, energia che sale e non si riesce a fermare, maggiore irrorazione dei muscoli anche del volto, e via dicendo. Nella tristezza, invece, si percepisce un crescente senso di chiusura, le spalle si incurvano verso il basso, il capo sta maggiormente chino, talvolta fuoriescono le lacrime, in certi casi si può provare un peso al cuore, ecc. 3. Conseguente espressione facciale riconoscibile, specie per le emozioni primarie che sono innate, cioè che l’essere umano è già in grado di provare alla nascita, l’espressione del viso che ne deriva è universale per tutti gli uomini del mondo. La gioia porta ad occhi sorridenti e sorriso. Il disgusto porta a “storcere naso e bocca” e così via. Immagine diverse emozioni universali Ok, quindi quante emozioni vedi nella prima immagine? Gioia. Rabbia. Paura. Tristezza. Sorpresa. Disgusto. Si, hai ragione! Queste sono le cosiddette emozioni primarie, ovvero quelle di cui siamo già dotati alla nascita, Ma allora perché il famoso cartone animato della Pixar “Inside Out” ne mostrava solo 5? Bhè perché hanno fatto una scelta stilistica nella storia, per cui, anche se all’inizio avevano previsto l’emozione “stupore”, alla fine l’hanno omessa dal racconto. Vale però la pena di guardarlo quel cartone animato, anche solo perché passa un messaggio molto importante, ovvero che ciascuna emozione esiste perché ha un significato ed è necessaria al nostro corpo umano per adattarsi all’ambiente. Si, hai capito bene. Non esistono emozioni belle o brutte, esistono perché sono utili al nostro corpo per reagire coerentemente con ciò che ci sta accadendo. E questo è assolutamente sano! Evitare di provare certe emozioni, invece, non lo è. Inside Out ci parla di quanto, non solo la gioia, ma anche la tristezza sia assolutamente utile alla ragazza per crescere e per rispondere al mondo esterno in modo sano, vi immaginate altrimenti qualcuno sempre su di giri? E poi come succede verso la fine del cartone, le emozioni si possono mescolare e divenire molto più complesse. Se ti vuoi rivedere la parte finale, che è molto commovente, guarda qui e capirai di cosa sto parlando: https://www.youtube.com/watch?v=-gqvtqV-oCg Railey, la protagonista del filmato, è ora in grado di provare emozioni che tecnicamente vengono chiamate secondarie e si creano sia dalla combinazione delle primarie, sia dall’interazione sociale e sono: vergogna, colpa, speranza, rassegnazione, perdono, gelosia, invidia, nostalgia, rimorso, delusione, eccitazione… Queste emozioni si sviluppano dopo i 3 anni di età, con l’inizio delle interazioni con gli altri della famiglia e non solo la madre. E’ molto importante che i bambini stessi vengano indirizzati ed educati nella gestione delle proprie emozioni, ma prima bisogna che le conoscano Per questo consiglio alcuni libri davvero utili in merito, specie per i bambini più piccoli, in realtà io li ho utilizzati anche con bambini e ragazzini di 10-12 anni e sono stati efficacissimi perché semplici e diretti, eccoti i link: L’emozionario: dimmi cosa senti di Rafael Valcarcel e Cristina Nunez Pereira che aiuta i bambini a conoscersi, a conoscere il proprio mondo interno. Emozioni di Van Hout Mies pieno di illustrazioni di un pesce, che provando varie emozioni, cambia aspetto e colore. Buona lettura dai 3 anni in su. Inoltre, ciascuna delle nostre emozioni può avere varia intensità, posso essere infastidito, arrabbiato o iracondo, posso essere timoroso, pauroso o terrorizzato, posso essere sereno, gioioso o estasiato e così via. Va bene Sara, ma perché è importante saperlo? Perché è importante educare bambini, adolescenti e giovani adulti alle emozioni? Eccoti un mio video in merito! Nei gruppi psicoeducativi di bambini che ho svolto, in cui abbiamo fatto un laboratorio di riconoscimento e gestione delle emozioni, abbiamo fatto esercizi proprio sulla diversa intensità di queste, poiché è importante riconoscerle quando sono ancora in una forma lieve o media per iniziare ad occuparci di loro, oppure bisogna avere delle strategie se l’emozione, come può capitare, diventa più intensa del previsto. Per farlo comprendere ai bambini, è stato bello fare esercizi in cui dovevano mimare con viso e corpo un’emozione e farla riconoscere ad un compagno, oppure a squadre dovevano fare indovinare l’emozione ad un giudice, oppure dovevano prima mimare un’emozione lieve e poi sempre più forte, oppure dovevano dosarne l’intensità con il suono della voce. Si divertono tantissimo a farlo. Quando ho chiesto loro di mimare una rabbia sempre più forte è scattata l’ilarità ed un bimbo ha persino preso un oggetto e fatto finta di tirarlo ripetutamente. Da qui comprendiamo delle cose importanti: quale può essere la loro esperienza di rabbia, che strategia utilizzano per scaricarla. Nell’esempio del bimbo la rabbia può arrivare a distruggere qualcosa e viene scaricata lasciando libero sfogo alla distruttività. Questo chiaramente non è l’esempio corretto, se non all’interno di un gioco come il nostro in cui questa manifestazione era teatralizzata, in cui un’emozione così forte deve essere espressa. Quel che bisogna comprendere è anche che non si può vivere l’estasi, se non si sa vivere prima la serenità, così come non si può essere in grado di gestire l’ira se non si sa trasformare l’irritabilità. Quindi non è possibile imparare a gestire un’enorme emozione, se non si impara prima a gestire il suo corrispettivo più lieve. Come in ogni cosa nella vita, bisogna andare per gradi. Ah, perché ci sono vari modi di esprimere un’emozione? Chiaramente si. Vediamoli assieme! Prendiamo per esempio la rabbia, alcune persone arrabbiate non parlano più e si chiudono, altre dicono semplicemente la loro opinione che possa piacere o meno, altre urlano, altre rompono oggetti, altre rischiano di diventare violente con gli altri. Così una madre arrabbiata con il figlio può giocarsi la carta del silenzio, discuterne, mettersi ad urlare, arrabbiarsi e ad esempio lanciare un quaderno o trattare male degli oggetti, desiderare di sculacciare il bambino, o anche farlo sul serio. Altrettanto un figlio arrabbiato potrebbe andare in camera sua chiudere la porta e non parlarvi, potrebbe discuterne se è incitato a farlo, può arrabbiarsi e urlare contro il genitore o rompere giocattoli o tirare pugni ad oggetti (a seconda dell’età), oppure può diventare violento e tirare calci al genitore, o schiaffi. Perché alcune persone hanno una reazione piuttosto di un’altra dipende principalmente da che caratteristiche innate hanno, qual è il loro temperamento e se non lo hai ancora fatto, vai a leggere il mio articolo precedente che parla proprio di questo: il temperamento, che caratteristiche e che capacità ha mio figlio. Chi è mio figlio: come aiutarlo a trovare se stesso nell'era digitale. Ma dipende anche dall’ambiente in cui sono cresciuti e dall’educazione ricevuta, che come dicevo nello scorso articolo, influisce tantissimo sul carattere del bambino, anche se biologicamente sarebbe incline a certe predisposizioni. Come rispondiamo ad un’emozione altrui è molto importante, ci dice molto di noi stessi ed esistono strategie per farlo in modo corretto, ma lo vediamo più avanti. Prima voglio spiegarti cosa accade se un’emozione diventa uno stato d’animo a lungo termine. Abbiamo visto che un’emozione per essere tale necessita di un inizio, uno svolgimento ed una fine, in una durata di tempo breve. Cosa accade, invece, se l’emozione non si risolve? Bhè, in quel caso il processo non diventa più solo fisiologico, non è più una risposta psicofisica coerente ad un evento interno o esterno che ci permette di adattarci all’ambiente, come era successo per Greta, ma entra in ballo la mediazione mentale. Entrano in ballo scelte, valori, opinioni, motivazioni, credenze, esperienza, interpretazioni dell’esperienza, molti fattori che ci fanno percepire alcune situazioni in un certo modo piuttosto che in un altro. Camilla entra nell’aula di informatica e dividendosi a gruppi, vede che le sue amiche scelgono di sedersi tra di loro, ma nessuna si mette vicino a lei, così si sente triste perché si sente non voluta, non scelta e rifiutata, ma non solo, la ragazza crede che ciò sia dovuto al fatto di essere brutta, di non essere molto simpatica e di essere pesante, nessuno mai potrebbe davvero volerla come amica perché lei è una persona inutile e probabilmente invisibile agli altri, in pratica pensa che la sua esistenza o meno non importi a nessuno. Vedi che la situazione è già differente rispetto a Greta, infatti Camilla prova questa sensazione costantemente, sia rispetto alle amiche, sia rispetto ad altre sfere dell’esistenza. Prendiamo ad esempio una persona depressa, questa non prova più una normale emozione di dolore o di tristezza, ma vive questa emozione ogni santo giorno, all’infinito, tanto che diventa pesante lavorare, vedere gli amici, lavarsi, fare l’amore, in generale diventa pesante vivere. Ovviamente, dell’emozione della tristezza ne rimane un lontano barlume, ma prende il suo posto un perenne stato di umore basso, sensazioni di inutilità, sfiducia, di mancanza di senso, ecc. Come può accadere questo? Può ad esempio succedere quando una persona subisce una serie di sconfitte ed ingiustizie nella vita e non riesce a viverle tutte assieme, oppure quando accadono molte situazioni spiacevoli tutte in una volta e la persona non riesce a far fronte all’elaborazione di più emozioni, oppure quando nel passato c’era già un evento non elaborato e poi se ne aggiungono altri più avanti che non trovano collocazione poiché il primo è ancora irrisolto, oppure accade un evento molto significativo che porta la persona a quella condizione, oppure si ha una personalità fragile e molti eventi, anche lievi, possono divenire rilevanti. Insomma esistono un’infinità di motivazioni per cui l’emozione non riesce ad essere elaborata e dunque diventa parte di materiale irrisolto che continua a lavorare dentro di noi, non cessando la sua azione. Quindi, da una reazione funzionale del corpo come un’emozione, se non viene elaborata, si può ottenere anche il contrario: una reazione disfunzionale, un sintomo. E dunque un’emozione percepita come negativa e non vissuta può divenire uno stato d’animo ricorrente. Spesso anche l’educazione ricevuta rispetto alle emozioni non aiuta: viene insegnato consciamente o inconsciamente che certe emozioni è meglio evitarle per star bene, o che alcune emozioni non possono e non devono essere vissute, che non sono accettabili e così via. e la paura può diventare ansia e poi panico la tristezza può diventare malinconia e dopo depressione e così via. Fortunatamente, le emozioni vengono anche elaborate e quando finiscono la loro utilità, lasciano spazio ad un nuovo assetto psicofisico, una nuova consapevolezza. Ad esempio, l’innamoramento ha una durata prestabilita, questo accade anche agli animali in natura, poiché altrimenti non si sarebbe completamente presenti a se stessi e ci si metterebbe in una condizione di rischio per la propria incolumità. Ad esempio, avere la testa tra le nuvole non aiuta certo sul lavoro. E così vale per gli animali, che rischierebbero di essere più facilmente vittime dei predatori. Allora dopo sei mesi di innamoramento, se la relazione va bene, accade che si passa al sentimento dell’amore, che non è un’emozione, ma è uno stato d’animo più complesso e che presuppone una scelta cosciente. Quindi gli stati d’animo, o sentimenti, possono essere dovuti sia ad un’elaborazione andata a buon fine, sia ad una mancata. Ma torniamo a noi, Come si fa a riconoscere, gestire e incanalare le emozioni proprie ed altrui, specie quelle dei propri figli? Io utilizzo cinque strategie che spiego anche ai genitori, alcune, come dicevo, le ho scoperte nel mio percorso psicologico, altre dall’esperienza lavorativa, altre ancora da questo libro che dovete necessariamente leggere per diventare degli allenatori emotivi come spiega l’autore stesso John Gottman in “L’intelligenza emotiva per un figlio”. Questo libro mi ha trovata pienamente in sintonia con molti esempi pratici di come intervenire nell’educazione alle emozioni di bambini e adolescenti. È stato bello scoprire che dall’altra parte del mondo, negli States, dei ricercatori hanno fatto un esperimento scientifico ed esperienziale su famiglie e figli parallela a quella che io ho fatto per anni su me stessa ed è interessante osservare come su certi punti ci sia un’analogia del pensiero e delle modalità, anche se con parole differenti e con alcune varianti. Più il bambino è piccolo, più quello che sta vivendo, lo vive per la prima volta. E così anche per le emozioni. Non sa che cosa gli prende, ma sente che una strana sensazione sta attraversando il suo corpo ed allora o piange, o inizia a muoversi in modo frenetico, ecc. Qui deve essere brava la madre a riconoscere l’emozione e a tranquillizzarlo, fargli comprendere a parole o con gesti cosa sta vivendo, mettere in atto comportamenti compensatori che riportino lo stato di quiete. Perché per il bambino vivere nuove sensazioni è fonte di angoscia, non sa mai se quel nuovo cambiamento di stato si risolverà o se lo porterà alla morte. Provate voi a sentire rabbia per la primissima volta nella vita, vi assicuro che è angosciante! Ma grazie alla presenza materna, il bambino riesce a superare quell’angoscia e a vivere ed elaborare la nuova sensazione. Non a caso, molte disregolazioni emotive di bambini e adolescenti e adulti risultano proprio a partire da questo meccanismo che abbiamo appena spiegato. Quindi, il primo passo in assoluto, che il bambino sia molto piccolo, o che si più grandicello è quello di comprendere che emozione sta vivendo e di conseguenza dargli un nome. Dare un nome alle cose, ci aiuta a conoscerle, a prenderci confidenza, a farle divenire più razionali ai nostri occhi, ci porta a maneggiarle meglio, la più grande paura dell’uomo è infatti quella dell’ignoto. E lo è anche per un bambino. Da adulti dobbiamo essere bravi a comprendere quale emozione stia vivendo, se non lo comprendiamo noi, nemmeno lui potrà farlo. Come si comprende che emozione sta vivendo tuo figlio? 1. Bisogna avere tempo da impiegare con il bambino, per ascoltarlo, per prestargli attenzione, per vedere che reazioni fisiche ha. 2. Notare i segnali fisiologici: se urla e strepita facilmente potremmo osservare che si tratta di rabbia, ma se parla poco e tiene il capo chino e appare sconsolato avremmo a che fare con tristezza e così via, se è in allerta e frenetico, o all’opposto è bloccato, potrebbe essere paura. 3. Ascoltare, è molto importante perché dà informazioni non solo su quello che ci dice il bambino, che magari spiega quale situazione abbia innescato l’emozione, ma anche ascoltare nel senso di percepire, cosa mi passa mio figlio a pelle? Cosa mi sta davvero comunicando? Qual è il suo bisogno? Queste sono le modalità con cui comprendere l’emozione di tuo figlio, che di conseguenza ti porteranno a nominarla, ma facciamo un esempio pratico. Gabriele torna a casa da scuola, è piuttosto silenzioso e continua a guardare fuori dal finestrino dell’auto, arrivati a casa dice che domani non andrà più a scuola, allora la mamma gli dice: “ti vedo dagli occhi che sei triste e un po’ preoccupato” (da ben notare che a. non gli chiede subito cosa è successo, b. lo ha osservato prima, c. non è andata in escandescenza perché questo non vuole andare a scuola, d. formula una frase che lascia che sia l’altro a parlare, e. nomina già una possibile emozione). “Si, Matte e Riky oggi non volevano più che giocassi con loro e scappavano da tutte le parti per evitarmi”. Alchè la mamma dice: “Caspita, deve essere stato molto difficile per te affrontare questa situazione e vedere che i tuoi amici ti escludevano, sei triste perché ti sei sentito escluso”. (da ben notare che: a. la mamma ancora non chiede “come mai si sono comportati così”, “cosa è successo”, b. la mamma non incolpa gli altri due di nulla, c. nemmeno dice “ma dai non stare male per queste sciocchezze”, d. riconosce al figlio la sua emozione, e. dice che anche lei si sarebbe sentita così e quindi la fa sentire come qualcosa di cui non c’è da avere paura, ma da accettare). E fino a qui abbiamo la fase di riconoscimento e del dare un nome all’emozione. la seconda strategia, ma che in realtà seconda non è, piuttosto è una condizione senza la quale non si può essere un adulto sufficientemente buono, come diceva Winnicott, è saper riconoscere la proprie reazioni alle emozioni. Per tutti noi esistono emozioni con cui riusciamo ad avere più a che fare ed emozioni che facciamo più fatica a sopportare o a vivere, di conseguenza, probabilmente, tenderemo a far fatica nei confronti di quelle emozioni anche se appartengono ad altri. Ci sono poi famiglie che censurano la possibilità di sentire certe emozioni, poiché non sono tollerate, o poiché riaprono ferite del passato. In questo caso, per il bambino diventa ancora più difficile imparare a riconoscerle e a gestirle. Ci sono genitori che faticano a tollerare la rabbia, oppure la paura, oppure la tristezza, talvolta anche la gioia. Ad esempio, ci sono genitori, specie quelli di vecchio stampo, per cui essere bambini paurosi, specie se si è maschi, è un disonore, è un’onta immane sulla famiglia e minacciano i bambini quando dimostrano poco coraggio. Ci sono famiglie dove, non solo la rabbia, ma anche l’esprimere un’opinione contraria e parlare del proprio contrasto con un famigliare non è assolutamente accettato e viene punito. Ci sono famiglie, specie quelle austere e rigide, dove la gioia ed il piacere e la soddisfazione non possono essere esplicitate, ma devono essere calmierate dallo sminuirsi, dall’imposizione ad essere umili. Ci sono famiglie dove più emozioni vengono censurate. Capisci che se l’educazione ha molta importanza per l’essere umano e che se l’educazione alle emozioni è di fondamentale necessità perché sappia regolarsi, queste modalità sono assolutamente nefaste. Facciamo un esempio pratico: Maicol aveva un padre molto rabbioso e violento, così decise che non sarebbe assolutamente diventato come lui e con suo figlio avrebbe fatto diversamente. Diventando adulto ebbe un figlio, Thomas, un bambino vivace ed ogni tanto turbolento, ma Maicol non accettava assolutamente tali comportamenti che stroncava a parole e con punizioni talvolta anche umilianti, pensando di fare il bene di suo figlio. Una volta disse a Thomas che sarebbe cresciuto come un delinquente e che per evitargli questo sarebbe andato a letto senza cena, per imparare a comportarsi. Accadde molte altre volte e Thomas imparò a resistere senza cena e a non avere più paura di quell’uomo, tanto da aumentare sempre di più il suo livello di ribellione nei suoi confronti, a non rispettarlo più e presto Maicol non seppe più che punizioni infliggergli per farlo cessare senza ricorrere alle botte. Di fatto, l’unica cosa che il bambino imparava erano dei comportamenti di repressione e quindi violenti a loro volta. È importante prevedere quali reazioni si potrebbero avere nei confronti di quali emozioni, proprio perché ognuno di noi fatica di più su certe dimensioni, ma sapendolo, può imparare a gestirlo, dando al bambino un’ulteriore dimostrazione di controllo, equilibrio e competenza, ma anche di umanità. La terza strategia, dopo avere riconosciuto e nominato l’emozione di tuo figlio, è quella di accettarla. Accettando l’emozione, qualsiasi essa sia, farai sentire accettato lui/lei come persona. Se è stato scorretto il comportamento che il bambino ha messo in atto dopo aver provato l’emozione, non biasimate l’emozione, ma il comportamento E comunque prima di arrivare a parlare del comportamento utilizzato, passate per l’accettazione dell’emozione che stava a monte. Facciamo un esempio pratico: Marco tira un calcio allo zaino di scuola appena rientrato a casa, la mamma lo guarda e dice: “Per tirare un calcio allo zaino devi essere proprio arrabbiato!” “Si, a calcio l’allenatore mi ha fatto sedere in panchina solo perché ho sbagliato un tiro, poi mi ha detto che non so fare niente!” La mamma gli ripete che forse si è sentito svalutato e svalorizzato e che questo può averlo fatto sentire triste e poi arrabbiato. Inoltre, aggiunge che anche lei si sentirebbe così se qualcuno le avesse detto una cosa del genere, è effettivamente molto brutto sentirsi dare dell’incapace. Quindi la mamma non reagisce urlando al gesto di stizza del figlio, ma gli riconosce e nomina un’emozione, inoltre non sminuisce quello che il bambino ha sentito, ma glielo approva dicendo che anche lei si sentirebbe così, inoltre, non insinua che il bambino abbia esagerato, o che le abbia mentito, gli crede. Chiaramente, se vostro figlio vi mente, prima o poi salterà fuori e potrete riprendere la questione, ma sul momento non è produttivo non credergli, altrimenti non si pongono le basi per la fiducia, concetto su cui potrete far leva se scoprite che vi ha raggirati. Il comportamento viene dopo ricordi? E qui arriva la quarta strategia: aiutare il bambino ad incanalare l’emozione verso un comportamento più adeguato! Dopo che la mamma di Marco avrà parlato un po’ con suo figlio, rimanendo su un tono affettivo, potrà fargli notare che quando è arrabbiato tende a buttare fuori la sua rabbia in modo aggressivo, specie nei confronti degli oggetti e gli si può far notare che questa è una cosa che non può funzionare a lungo andare. Quindi, puoi osservare con tuo figlio che forse potrebbe accadergli anche in futuro di essere arrabbiato e di sentire il bisogno di scaricarsi. E si può pensare assieme quale potrebbe essere un modo per lui di poter indirizzare il suo sfogo in modo differente. Parlare con la mamma che lo accetta, potrebbe essere già un’idea. Disegnare, scrivere, colorare, correre, cucinare con i genitori, tutte le attività che permettono una scarica fisica, ma anche di utilizzare la creatività sono ben accette. Giocare è per loro fondamentale, non però con la playstation o con il tablet! Il corpo ha bisogno di una scarica e, come sappiamo, il digitale poco permette questo processo. Mentre permetterebbe solo distrazione dal problema e forse un aumento dell’aggressività per l’utilizzo di giochi con la violenza come tematica. Come si fa, però, quando l’emozione non è facilmente placabile perché è molto intensa?? In quest’ultimo caso, aggiungo una quinta strategia, se vostro figlio sta vivendo un’emozione molto intensa, il vostro compito è quello di contenerlo. Prima si contiene, poi si applicano di conseguenza tutte le altre strategie, questo perché non deve arrivare a sperimentare qualcosa di esageratamente intenso per le sue possibilità. Potrebbe anche lui/lei spaventarsi, o iniziare ad etichettarsi come qualcuno che “sclera” o “fuori di testa” E noi non vogliamo questo. Perciò, se un’emozione è molto forte, non si va in escalation con il bambino o ragazzo per farlo smettere, ma bisogna all’opposto abbassare l’energia che circola nell’ambiente. Dove per ambiente non si intende solo la stanza dove sta avvenendo il processo, ma anche l’ambiente relazionale delle due persone, cioè tutto quello che accade tra me e te e nello spazio tra me e te. Questa operazione si può fare sia fisicamente con i bambini più piccoli, che con la voce, l’assetto posturale, la mimica e l’intenzione con un ragazzo più grande. Nel secondo caso ci vuole molta decisione, chiarezza in quello che si dice, ma un tono basso e profondo, quasi ipnotico, proprio per riportare la persona a frequenze più basse e riportarla alla tranquillità. Ovviamente questa manovra richiede del tempo, a seconda di quanto la persona è “uscita dai gangheri”. Il prossimo mese, vedremo come la regolazione delle emozioni, sia il precursore delle regole, così tante amate dai genitori. Per adesso è tutto, a presto, un abbraccio, Sara. P.s.: trovi diversi contenuti video sulla psicologia dello sviluppo, ovvero la psicologia per bambini, adolescenti e giovani adulti e per tutti coloro che se ne occupano come genitori, insegnanti, allenatori sul mio videocanale Youtube Piccolo Spazio Psicologia, ti invito ad iscriverti!
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