"Mamme Connesse"
Informazioni virtuali per connessioni reali.
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
In questa guida scoprirai come aiutare tuo figlio, un nativo digitale, ad evitare di essere risucchiato dal sistema tecnologico odierno e di rimanere imbrigliato nei suoi tentacoli quali: assenza di valori, superficialità, esaltazione degli oggetti e del materiale, di tutto ciò che si può comprare per dimostrare agli altri quello che si è. Sei pronta? Iniziamo! Parma, Emilia – Romagna, ore diciassette e trenta circa, 2 luglio 2018 Sto preparando un discorso che dovrò tenere l’indomani a dei bambini e ragazzi di un centro educativo molto tosto. Mi fa sorridere il fatto che il tema riguardi la CURIOSITA’ e che, dall’argomento dell’ultima volta (l’umanità), ci siano ancora ragazzi che mi vengano a riferire che cosa hanno pensato i giorni successivi al nostro incontro. Ci pensano. Non siamo poi così perduti! Penso a mia volta a come mettere in piedi il discorso. L’università di psicologia a cui mi sono laureata anni fa mi direbbe di partire a fare un sermone sul tema, partendo dalla teoria psicologica sull’argomento. Non credo mi muoverò in quel senso, dopotutto la mia prof delle medie, quella di cui vi parlavo in un articolo precedente, avrebbe detto: “Sara, impara l’arte e mettila da parte!”. Si, perché i ragazzi non vogliono qualcuno che gli impartisca nozioni e conoscenze, vanno già a scuola per questo, ma desiderano qualcuno che gli trasmetta la sua esperienza, un modello a cui riferirsi, un’essenza a cui rifarsi. Perciò, per scoprire come aiutare i ragazzi digitali di oggi, per dargli anche altri contenuti oltre alla superficialità del web, a cui sono continuamente sottoposti, bisogna porsi proprio in quest’ottica, quella di trasmettere! Infatti, ho pensato di scrivere questo articolo proprio per trasmettervi una sensazione, che spero possa portarvi a trasmetterla anche ai vostri ragazzi. Quale? La andiamo a vedere! Ci troviamo nel terzo millennio e precisamente in quella che viene definita come Rivoluzione Digitale, ne abbiamo parlato anche qui I ragazzi sono immersi h24 nella tecnologia, in particolare sui social network, ma anche su altre piattaforme interattive. All’interno di queste piattaforme vengono proiettati dei contenuti, che sono generati da altri utenti, ma anche da aziende e sappiamo bene che lo scopo di quest’ultime è vendere dei prodotti. Lo fanno, ad oggi, utilizzando il web, lo stesso che guarda tuo figlio. Per questo i ragazzi e noi stessi, veniamo sempre più imbrigliati in una rete di contenuti che ci spingono ad entrare nel mercato, non c’è nemmeno più bisogno di andare in centro per comprarsi un paio di scarpe, possono già essere visionate indossate dal loro idolo del basket su Instagram e messe nel carrello di Amazon per essere comprate. I ragazzi sono così bombardati da questa ottica volta all’acquisto e alla circolazione di soldi, che non si rendono nemmeno più conto di ragionare con una mentalità di massa. Ascoltano la musica che Youtube passa come più popolare, senza domandarsi il perché, tengono ad essere sempre perfetti, come se dovessero fare una diretta su Facebook, se così non è, muoiono di vergogna, imitano tutto ciò che vedono su queste piattaforme, dal gesto del giocatore ai mondiali in TV, al nuovo video di Rovazzi che ci incita a fare quello che ci pare, al voler diventare Youtuber, Instagrammer, Muser, ecc, giusto per essere famosi ed avere i loro soldi. Dopotutto, al giorno d’oggi, è sicuramente più pagata Chiara Ferragni che un medico. E questo loro lo sanno, ed il messaggio che passa è sempre più: “Perché dannarsi a studiare anni per poi guadagnare relativamente poco?” E pensare che sono solo ragazzini, ma pensano e parlano già di soldi. Il problema poi di queste piattaforme, solitamente, è che più un video o un contenuto sono sciocchi, più sono in grado di intrattenere chiunque, proprio per questo hanno sempre molto più seguito e divengono virali molto più rapidamente rispetto a contenuti educativi o informativi. Tutto deve passare per il sensazionalismo, o per il divertimento, senza ricordarci che l’uomo è composto anche da altro. Il messaggio che sembra passare la nostra vita online è quello che tutti siamo perennemente felici, perennemente su di giri, perennemente in buone condizioni, perfetti, niente è fuori posto, ma nella realtà, nessuno può vivere in questa continua proiezione verso l’alto. E meno male, perché l’uomo ha vita nell’oscillazione, nella pulsazione del cuore, che ora si contrae ora si rilascia, non nella perenne presenza solo di uno dei due movimenti. Ma allora dove sono finite le emozioni che colorano l’esistenza, anche di tinte scure se necessario? Dove è finita la riflessione? Dove la consapevolezza che, oltre al dramma del materialismo, siamo dotati anche di un mondo interno che è animato da vita propria? Pare andiamo incontro ad un appiattimento generale, della conoscenza, del pensiero, dei tipi e stili di vita che facciamo, di quello che ci piace, dei posti in cui andiamo. La superficialità vince la complessità, la razionalità vince sulle sensazioni, le regole sulla relazione, il conscio sull’inconscio. Cosa significa essere superficiali? Lasciamo a Wikipedia il compito di risponderci, ancora una volta. E sì, sono ironica nel dirlo, perché ormai sono delle prassi, dei modi di fare che tutti abbiamo appreso: ho una domanda la faccio a Google! Non interrogo me stesso, le mie conoscenze, la mia logica, la mia anima, ma Google. Google sembra diventata la nostra Grande Madre, colei che sa e che al posto di fornire nutrimento come farebbe una madre, fornisce dati. Ecco, io intendo proprio questo per “essere superficiali”: persone che si protraggono sempre verso l’esterno, verso qualcosa di preconfezionato, che gli è stato detto, o che hanno visto fare, per trovare risposte alle domande della vita, invece che interrogarsi personalmente. Con tutto quello che ne comporta, che, a volte, sono lacrime e dolore, poiché prendere coscienza di sé non è sempre facile. Ogni tanto tutti siamo stati superficiali, o lo siamo stati in certe situazioni ed è anche un bene, l’importante è non esserlo sempre. L’obiettivo della vita, in definitiva, ci pone dilemmi che devono essere risolti se vogliamo compiere il nostro corso e dovrebbero essere gli unici ad avere la priorità E mentre ci insegnano a continuare a guardare all’esterno, ci dimentichiamo di un luogo di noi stessi, fatto di poteri e fragilità, fatto di archetipi, demoni e animali guida. Ed i ragazzi seguendo il nostro esempio e quello della società di massa, rischiano di perdere quella parte di sé, quella che li rende ciò che sono e non uguali ad un altro: la propria interiorità. Questa non può essere ricercata su Google e nessuno la spiega sul web. E voi potreste dirmi che in realtà io sto facendo proprio questo nell’articolo, ma anche qui, un conto è leggerlo ed un conto è sperimentarlo. Lo dico andando contro a qualsiasi mio interesse, tuttavia per conoscersi a fondo, bisogna fare un percorso in profondità! Questa è una guida che tenta di muovere in voi la spinta a farvi delle domande a fare riflessioni, a darvi anche strategie a breve, ma conoscere il proprio interno richiede un aiuto per farlo, possibilmente umano e non di certo un articolo internet! Non ci sono scappatoie, né scorciatoie. Né per voi, né per i ragazzi! Se però accetterete la sfida, la magia inizia da qui, dall’essere consapevoli di ciò che siamo! Ti indico anche questo articolo di qualche tempo fa, se volessi qualche strategia per comprendere meglio chi è tuo figlio! (Leggi qui) Ed ecco la prima strategia, se vuoi aiutare tuo figlio ad acquisire valori che non siano soltanto quelli del web, devi saper trasmettere, ma soprattutto devi stare nella relazione. Devi crearla, cullarla, trasformarla. Devi sentire quando si crea qualche intoppo e tentare di arrivare a scioglierlo, comprendendolo, se possibile. E quando parlo di sentire, parlo di quel qualcosa di impalpabile, intoccabile, di quella capacità di percepire ciò che passa tra me e te. Questa è una relazione! Ed è questo ciò che accade anche tra un terapeuta e la persona che ha deciso di andare da lui ed è quello che dovrebbe accadere tra un genitore ed un figlio, tra due innamorati. Certo, ognuna di queste relazioni ha caratteristiche diverse e specifiche, ma alla base c’è l’ascolto, il rispetto, lo scambio di un qualche tipo di legame e l’empatia. Tutte cose che il digitale non può darci. Un calore interno che non è in grado di accendere. A proposito di empatia e di calore, sul mio videocanale YouTube Piccolo Spazio Psicologia trovate diversi video su questa tematica, iscrivetevi gratuitamente! Ma volete sapere come è andato l’incontro sulla curiosità? Certo Sara! Siamo curiosi! Ho chiesto ai ragazzi cosa fosse la curiosità, domandandogli anche qualche esempio e loro mi hanno risposto che la provano quando vogliono sapere qualcosa dell’altro, oppure i più grandi mi hanno detto che la curiosità è quando si prova interesse per qualcosa o qualcuno. Alcuni hanno poi abbinato la curiosità al gossip, così ecco emergere una prima tematica del web: cosa fanno i calciatori o cosa fanno le modelle che seguono loro o i fratelli, o addirittura i genitori su Instagram! Ma hanno parlato di gossip anche non indirizzato a vip, ma a conoscenti, il pettegolezzo. Anche in questo caso, la curiosità sarebbe un’energia utilizzata male. Li ho invitati invece a concentrarsi su un altro tipo di curiosità, ovvero quella che si utilizza per conoscere l’altro, un amico. L’interesse che si prova quando si vuole sapere di più per fare amicizia, o quando si è innamorati e si vuole approfondire con quella persona. La curiosità di questo tipo è la nostra migliore arma contro la paura, ma anche contro la superficialità. Chi è curioso non si ferma a difendersi da possibili pericoli, ma volta la situazione e approfondisce, cioè non sta in superficie. Per antonomasia chi è curioso è anche aperto a nuove scoperte, a conoscere gli altri, a conoscere se stesso. Quindi, questo esempio dell’incontro sulla curiosità calza proprio a pennello per sapere come aiutare i ragazzi a uscire dalla superficialità e dall’assenza di valori in cui li pone l’utilizzo del digitale. Come? Ho fatto fare loro un esercizio. Ho chiesto a ciascuno di loro di alzarsi, dirmi il proprio nome, e riportare una propria qualità interna, comunicandolo agli altri. Questo per aiutarli a conoscersi a vicenda. E non per sapere i fatti loro! Sono due cose differenti. È stata una difficoltà disumana! Proprio da questa loro difficoltà, ho deciso di scrivere questo articolo e devo dire che mi sono stati di grande ispirazione, purtroppo e per fortuna. I bambini venivano alla lavagna su cui avrei dovuto scrivere una loro qualità e non sapevano cosa dire di sé, se non che erano bravi a giocare a calcio, che non ha nulla a che vedere con una qualità propria interna come, ad esempio, l’essere affettuosi, o onesti, o educati, o gentili, o altruisti. Ma non solo i bambini hanno avuto problemi nel rispondermi, anche gli adolescenti, quindi quelli più grandi. è stato molto difficile cambiare direzione. Non per andare a sinistra piuttosto che a destra, né per andare avanti piuttosto che indietro, ma per andare dentro, all’interno, sotto. Un bambino mi ha detto che nessuno mai gli ha fatto una domanda così difficile, nemmeno a scuola. La superficialità, il rimanere solo sul ciò che so fare esternamente, sui compiti che so svolgere, perché solo in base a quello sono apprezzato e spesso solo grazie a quello esisto, sono un problema davvero nella nostra società. Ho fatto un esercizio semplice, ma diversi non hanno saputo rispondere a che tipo di persona erano dentro. Eppure non bisognerebbe aspettare di avere tutti 10 in pagella per avere un valore, nemmeno essere dei fenomeni della palla nuoto, ma bisognerebbe semplicemente essere. Questo è il messaggio e dunque una delle strategie per educare questi ragazzi ad uscire dalla superficialità del mondo digitale odierno. Per fortuna, andando avanti nel compito, dopo una ventina di ragazzi, e dopo aver ripetuto altrettante volte con esempi quella che era la mia richiesta, le cose sono migliorate. Alla fine tutti loro volevano sapere quale fosse la qualità dell’altro. Compresa la mia. Curiosi eh?! E pensare che l’unica cosa che abbiamo fatto è stata approfondire e questo ha creato una felicità e una vivacità che reputo sempre positive quando si produce. Un’altra strategia che si può utilizzare nell’educare, quindi, è quella sicuramente di stimolare la riflessione, di fare in modo che i ragazzi si pongano delle domande rispetto a se stessi e rispetto al mondo. L’importante è anche non offrirgli sempre soluzioni preconfezionate, o fornirgli le risposte che noi abbiamo dato per noi stessi, ma prendersi anche il rischio e la responsabilità che inizino a rispondersi da soli, o dialoghino per trovare una risposta. Perché? Perché noi non siamo loro e viceversa. Anche se sono i nostri figli. Ed è corretto che trovino una propria dimensione. Per aprire il dialogo ed il confronto anche tra di noi e crescere ho aperto un piccolo gruppo Facebook a cui è possibile unirsi gratuitamente che si chiama Piccolo Spazio Psicologia. Sì, come il canale Youtube! Per accederci, Iscriviti qui. Va bene Sara, ma come si crea concretamente un’occasione per portare l’altro a riflettere senza fornirgli una risposta, aiutandolo a conoscersi? Una domanda da un milione di dollari! Ma ho la risposta, anzi altre tre strategie (forse)! 1. TEMPO Anzi quello che ho da dire come sempre non è univoco, sono più atteggiamenti che possono fornirci la cornice di un quadro. In primis c’è sicuramente bisogno di tempo, perché una relazione non si crea dall’oggi al domani, nemmeno quella con i figli. Ed anche se tutti danno per scontato che padre e madre si nasca già, mi spiace svelare che in realtà alcuni istinti protettivi o di accudimento di un bambino possono essere già attivi in noi, ma altre capacità si sviluppano con il tempo e l’esperienza e, spesso, gli errori. Questa volta non vi consiglio un libro, ma un articolo di Serena Marchi, una giornalista e scrittrice di libri rispetto alla maternità. Questo articolo si chiama “L’invenzione dell’istinto materno”, dove afferma che quest’ultimo, appunto, sia più dovuto all’influenza culturale piuttosto che essere determinato biologicamente. Quindi no, genitori non si nasce! 2. ATTENZIONE La seconda caratteristica della risposta consiste nell’essere in grado di porre la propria attenzione sull’altro e per l’altro. E questo presuppone avere tempo per farlo. Detto ciò, alcuni ragazzi mi hanno chiesto che cosa ne pensavo dell’affetto, che cosa sia, cosa significhi. Ho risposto che l’affetto per me è lo sguardo di attenzione con cui ci dedichiamo ad un altro. Per questo vi parlo di attenzione, per costruire una relazione con vostro figlio, che sia in grado di passargli un’alternativa alla superficialità dei social network e del web. Attraverso gli occhi, infatti, penso passi qualsiasi cosa. Ancora di più l’amore. Per attenzione non mi intendo chiedere se una persona ha mangiato, se ha fatto i compiti, e via dicendo, sì, questa anche è attenzione, ma intendo qualcosa di più impalpabile: attenzione ai bisogni dell’altro, attenzione ai suoi limiti, alle sue risorse, all’energia che mette nelle cose, che mette nei pensieri, che pone nello scoprire chi è. Dopo questo grado di coinvolgimento della relazione, ovvero donare la propria l’attenzione, un adulto, comunque avendo a che fare con bambini e ragazzini DEVE dare una propria impronta. Sennò il bambino è perso. Senza orme da seguire sulla sabbia, un giovane rischia di perdersi nell’arido deserto, che ai giorni della rivoluzione digitale, è un deserto di dati web, asettici, esterni, svuotati. Vi segnalo che tanto più un bambino è piccolo, tanto più avrà bisogno di essere contenuto, nutrito e direzionato da voi, tanto più ci si avvicina alla maggiore età, quindi già in adolescenza, tanto più dovrà essere indirizzato a fare da solo, scegliere da solo e via dicendo. 3. SPIRITUALITA’ Probabilmente a breve potrò mostrarvi un prodotto anche per gli adulti, che parli di questa dimensione importante, che sempre di più tutti trascuriamo: la spiritualità. Ma Sara, non crederai mica a queste scemenze.. Eppure l’uomo è esattamente costituito da mente-corpo e spirito che sono tutt’uno! Poi spiritualità non per forza coincide con religione, ma di questo ne parlerò, promesso, altrove. La cosa che per ora vi interessa sapere è a cosa serva la spiritualità parlando di contrasto alla superficialità in cui sono costantemente immersi i ragazzi a seguito dell’uso del web. Non è che la superficialità non debba esistere, altrimenti non esisterebbe nemmeno il suo opposto, però, educare i ragazzi solo a questo diventa un dramma, una prigione, per noi e per loro. Perché le cose siano sane, c’è sempre bisogno che siano presenti sia l’una che l’altra parte, se solo una è presente, si rischia di divenire troppo centrati solo su un aspetto della vita e non godere della versatilità, della flessibilità e delle capacità che l’essere umano ha. Bisogna educare i ragazzi ad ascoltare quella parte interna che non ha nulla a che vedere con la razionalità, con lo schema, ma che affonda radici profonde nella propria autenticità. Bisogna educarli al mondo interno, più che all’esterno, fare educazione ai sentimenti piuttosto che al digitale, educare ad essere piuttosto che avere, a pensare piuttosto che ad agire. Ma per fare ciò, voi cosa fate e come fate per tenere viva ed ascoltata la vostra interiorità, la vostra di spiritualità? Lo fate? La ascoltate? O ve ne siete dimenticati? Perché è impossibile trasmettere ad un altro quello che prima noi non abbiamo appreso. E qui mi fermo, ma prima volevo comunicarvi un’ultima cosa: non abbiate paura di essere dei terribili genitori, ognuno di noi agisce con le consapevolezze che ha nel migliore interesse loro, è chiaro che poi se non ci tornano delle cose, è bene cercare di migliorare, ma non siate nemmeno ossessionati dal commettere errori, o dall’essere giudicati da altri, o da voi stessi. Spesso è solo tramite l’errore che si apprende! A presto, Un abbraccio, Sara.
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