"Mamme Connesse"
Informazioni virtuali per connessioni reali.
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
Massimo esponente della ricerca riguardante il bullismo, come tradizionalmente conosciuto, fu Dan Olweus nel 1993, quando ancora molte delle tecnologie oggi esistenti quali smartphones, i-pad, ecc. non erano presenti in circolazione. Olweus svolse delle ricerche all’interno delle scuole norvegesi, per studiare una particolare tipologia di aggressività, che lui definì come Bullismo e descrisse in questi termini: "Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni. Un'azione viene definita offensiva quando una persona con maggior potere infligge intenzionalmente o arreca un danno o un disagio a un'altra, la quale risulta essere più indifesa". Olweus, pertanto, sottolineava già le caratteristiche di intenzionalità, ripetizione e sbilanciamento di potere che un’azione doveva contenere poiché potesse essere definita come un atto di bullismo. Con l’arrivo degli strumenti tecnologici, questa forma di comportamento sembra essersi espansa anche attraverso altre forme di comunicazione, quali i nuovi dispositivi digitali. È stato pertanto coniato un nuovo termine per definire quelle forme di aggressività dirette da un bullo verso una vittima, attraverso l’utilizzo di strumentazione elettronica come forma di contatto: il Cyberbullismo. Dove “Cyber”, indica lo spazio virtuale della rete internet. Ma le caratteristiche del cyberbullismo sono le stesse del bullismo di Olweus inteso in senso classico? Molte sono le scuole di pensiero in merito e, poiché gli strumenti tecnologici hanno caratteristiche proprie, oltre alle caratteristiche già viste in precedenza, se ne possono trovare altre particolarmente riferite a questa nuova forma di aggressività:
4. Pubblicità: il bullo può operare in modo privato attraverso messaggistica, ma di frequente capita anche che lasci commenti pubblici, o altro, a rovinare l’immagine della persona vittimizzata e a crearle disagio su una piattaforma pubblica, commenti visibili da tutta la cerchia di amici della vittima creando un danno di grave entità, anche rispetto alla propria dimensione interiore, di capacità di sostegno e sopportazione dell’evento. 5. Anonimato: spesso il bullo ha elevate abilità tecnologiche e opera la sua aggressività creando falsi profili da cui importunare le proprie vittime, le quali vivono così un senso di impotenza, non riuscendo a combattere l’avversario efficacemente. La possibilità di anonimato su internet è poi causa dell’accentuarsi e dello slatentizzarsi dell’aggressività dell’uomo e dà modo al bullo di sviluppare l’idea di “farla franca”. In ultimo, possiamo asserire che alcune modalità di aggressività siano maggiormente tipiche del sesso maschile come l’aggressività fisica, le vessazioni e l’aggressività verbale, mentre altre sono maggiormente tipiche della sfera femminile come l’esclusione dal gruppo, i pettegolezzi e le forme di violenza indiretta. Fortunatamente, è stato osservato che almeno per quanto riguarda il cyberbullismo, questo si verifichi seriamente, con le caratteristiche sopra citate, solo nel 5% dei casi, meno del tradizionale bullismo. Rimanete Connesse! Sono Sara Moruzzi, Psicologa presso studio privato, specializzanda in servizi sociosanitari del territorio di Parma ed autrice del blog "Mamme Connesse". Da anni aiuto genitori e figli a sviluppare strategie educative affettive e relazionali, sostenendo gli uni nel ruolo genitoriale e gli altri nel loro percorso di crescita. Credo fortemente nella costruzione di una buona relazione tra persona e professionista e ritengo che questa sia la vera matrice del cambiamento, al di là di qualsiasi diagnosi.
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