"Mamme Connesse"
Informazioni virtuali per connessioni reali.
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
Hannah e Jessica subiscono uno stupro e le scene, specialmente quella di Hannah, sono così verosimili che fanno venire la pelle d’oca se una persona si sofferma davvero su cosa possa avere provato l’altro. L’attrice interpreta magistralmente il momento in cui una vittima è talmente in stato di choc, durante la violenza, tanto da apparire morta, distaccandosi da tutte le sensazioni per portarsi in un altro luogo e non provare più nulla. Lo stesso vale per le scene finali, dove Hannah si suicida. Quando la ragazza si taglia le vene, lo fa davanti allo spettatore, in modo evidente, visibile, il sangue esce ed è una scena in cui è difficile tenere lo sguardo, persino per una psicologa come me, abituata ad empatizzare con la sofferenza altrui. 13 Reasons Why, la serie TV Netflix uscita in Italia il 31 marzo 2017, porta con sé tantissimi ascoltatori, molti dei quali ovviamente adolescenti, essendo la serie rivolta a quel tipo di target e parlando delle tipiche dinamiche adolescenziali come le relazioni tra compagni di scuola, la diversità tra ragazzi popolari e non, il bullismo, il cyber bullismo e la mania di fotografarsi in qualsiasi momento, anche quelli più intimi. Tuttavia, la serie porta con sé tanto altro, come per esempio comportamenti che non si riferiscono più ad una situazione di bullismo e sfociano nella vera e propria violenza, illegalità e delinquenzialità con violazione di privacy, stalking e abusi sessuali perseguibili penalmente. Durante lo show di Netflix, proprio come le dinamiche della legalità sono in escalation anche le dinamiche psicologiche lo sono e si va da un semplice litigio tra amici, che ci rende più fragili a quell’età, ad una perdita di lucidità psichica che porta la protagonista alla morte e tutti gli altri ragazzi implicati in questo evento a crisi emotive profonde, fino al suicidio di altri componenti. Una spirale di dolore è insomma quello che inscena questa serie, che appare in alcuni punti differente dal libro best seller da cui è tratta. Da psicologa, vedendo come gli adolescenti odierni sono effettivamente così fragili dal punto di vista narcisistico, ossia dal punto di vista del proprio Io, della stabilità di questo, che tende sempre più spesso a perdersi e a frammentarsi, piuttosto che a essere unito e compatto, credo che la serie offra tantissimi spunti di cui poter parlare con loro e che loro stessi l’apprezzino proprio perché li pone davanti a dilemmi tipici della loro età, con un’intensità ed una fragilità tipiche anche queste di un adolescente. Di ciò va reso merito allo show, ma cosa accade quando di questa intensità i ragazzi non ne parlano poi con nessuno che li aiuti ad elaborare le questioni messe in scena e lasciate aperte o finite tragicamente nella serie? Per esempio, cosa fare quando la mia privacy ed intimità viene invasa? Cosa fare quando il senso di colpa per aver sbagliato è troppo forte da sostenere? Cosa fare davanti al non poter mantenere le aspettative di perfezione mie, dei miei genitori e dei miei compagni? Bhè, la protagonista della serie l’ha risolta uccidendosi e agli spettatori è fornita come scelta principale, di seguito la denuncia, l’invito a parlarsi e collaborare tra di loro ed il richiamo all’attenzione anche dell’adulto prima assente. Infatti, purtroppo, gli adulti nella serie vengono dipinti come esseri sciocchi, impegnati solo nei loro drammi ed intenti a salvarsi la faccia davanti all’opinione pubblica, oppure ipercontrollanti nei confronti di ragazzi già quasi maggiorenni e che negli States guidano già la macchina! Gli adulti dello show non sono dunque un’opzione, non che negli anni passati fossero visti meglio dagli adolescenti, ma ora, ora sono valutati come interdetti e disattenti ed è vero che probabilmente alcuni di noi sono così, specie per impegni di lavoro che si fanno sempre più incessanti, ma non lo sono tutti. Tuttavia, questo non traspare nella serie. Nel telefilm anche lo psicologo è un pressappochista, che non crede ai ragazzi quando gli parlano di qualcosa di intimo che li riguarda, con un’incapacità di sintonizzarsi sul vissuto emotivo di questi, proprio lui che lo dovrebbe fare per lavoro. Ci sta che i ragazzi protestino contro un mondo adulto intento al potere al salvarsi la faccia, ma la protesta è un fatto , la morte è un altro ed insegnargli che questo è possibile è un altro ancora. Ma nella realtà di tutti i giorni, se questi ragazzi assorbono questi contenuti dalla TV, dai Social, dallo Streaming e da Netflix, cosa imparano di fatto? Cosa trasmettiamo, da adulti, mettendo in scena un telefilm per adolescenti dove la protagonista, e non solo, reputano possibile ed anzi utile il suicidio? Perché è questo che avviene nello show, Hannah, la ragazza suicida, si uccide lasciando tredici cassette, ognuna riguardante una persona che l’ha indotta ad uccidersi, con eventi più o meno gravi. A me personalmente e professionalmente, invece, sembra grave che non venga specificato che è evidente che la protagonista non stia bene a livello psicologico, ma non per quello che le hanno fatto, che è orribile, addirittura ancora prima che ciò succeda; per questo il suo giudizio è spesso completamente offuscato, per questo si dà da sola le risposte sbagliate, per questo sceglie di uccidersi e sadicamente di far sentire in colpa tutti gli altri, come forma estrema per piegare il mondo ai propri piedi. Mi sembra grave che non si spieghi ai ragazzi che non è salutare un’ipersensibilità come quella della protagonista, che in certi casi, aggrava la situazione più di quanto non lo sia realmente, come per “la lista di Alex”, dove lei viene pure definita per suoi pregi fisici e non per i difetti e che soprattutto è capitato un po’ a tutti a quell’età di essere paragonati esteticamente a qualcun altro, ma meno male che non tutti abbiamo agito come lei. Mi sembra grave che si lasci l’opportunità ai ragazzi di credere che è vero che nessuno è dalla loro parte e che nessuno sa cosa farsene di loro, specialmente gli adulti. Mi sembra assurdo che, anche se all’interno della loro scuola superiore ci siano cartelli con su scritto: “il suicidio non è un’opzione”, invece Netflix lasci proiettare un telefilm dove questa sembra una scelta possibile e con i suoi vantaggi. Alle superiori studiano quello che in narrativa si chiama Il viaggio dell’eroe, che vede il protagonista voler andare in una direzione di vita, incontrando ostacoli indicibili per la riuscita del suo obiettivo, tuttavia, fortunatamente riesce nel superamento di queste barriere e grazie a ciò riesce a migliorare e crescere. Innumerevoli libri sono basati su questo viaggio del protagonista, che proprio perché supera gli ostacoli diventa l’eroe, in cui noi che leggiamo ci identifichiamo, vorremmo essere come lui/lei. Ma cosa accade se il protagonista trionfa suicidandosi? Dove sta la crescita? E si può ancora crescere dopo lì’onta di uno stupro? Non dico che i ragazzi non debbano vedere questo telefilm, anche se un tempo il “Vietato ai minori di tot anni” era presente per un motivo, ovvero che un ragazzo di quattordici anni non ha gli stessi filtri e la stessa capacità di elaborare i vissuti emotivi, cognitivi, sociali, ecc che ha un adulto, o anche solo di un ragazzo di diciotto, dico solo che sarebbe bene, magari anche proiettandolo nelle scuole e aprendo una discussione sui vari argomenti di cui tratta con un professionista, dato che comunque la serie non riesce a sviscerarli in modo utile. Oppure, se sapete che vostro figlio lo guarda, aiutarlo a capire meglio quello che vede, insomma che ci sia un contatto con un adulto che aiuti il ragazzo a digerire qualsiasi vissuto generi la serie TV. Io ho impiegato qualche giorno per elaborare emotivamente alcune scene, dove l’ottica è quella in cui non siano normali se non proviamo più nulla, anzi lo siamo tanto più se siamo in contatto con noi stessi e sappiamo gestirci. Ricordiamoci che le narrazioni nostre spiegano molto di noi e le narrazioni altrui diventano parte del nostro bagaglio interno. Cosa accade se nel nostro interno rimangono inglobate domande a cui non si riesce a dar risposta, specie in una fase come quella adolescenziale? Rimanete Connesse! Sono psicologa presso studi privati e specializzanda in servizi sociosanitari del territorio di Parma e Fidenza relativi all'ambito minorile e alla tutela minori, collaboro con altri psicologi, neuropsichiatri, logopedisti, assistenti sociali, educatori ed insegnanti. Da anni aiuto genitori e figli a sviluppare strategie educative, affettive e relazionali, sostenendo gli uni nel ruolo genitoriale e gli altri nel loro percorso di crescita. Sono autrice del blog "Mamme Connesse", il quale intende essere punto di riflessione ed informazione per i genitori, i loro figli e le nuove dinamiche derivanti dall'utilizzo dei nuovi strumenti digitali, i cui articoli sono pubblicati anche dal portale GuidaPsicologi.it, con lo stesso obiettivo sono chiamata come formatrice per i genitori in diverse scuole del territorio con il format "Genitori Connessi". Sono psicologa dello sport per allenatori e giocatori del settore giovanile e prima squadra (serie D) della società Fulgor Pallacanestro di Fidenza, sostenendo entrambi nel continuo lavoro psicocorporeo, di motivazione e leadership e nelle dinamiche di gruppo del team. Credo fortemente nella costruzione di una buona relazione tra persona e professionista e ritengo che questa sia la vera matrice del cambiamento, al di là di qualsiasi diagnosi
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