"Mamme Connesse"
Informazioni virtuali per connessioni reali.
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
20/12/2017 0 Comments Come insegnare a tuo figlio l’empatia: il vero rimedio al lato oscuro del virtuale.In questo articolo ti spiegherò alcune delle modalità più utili per educare tuo figlio all’empatia. Questa capacità è fondamentale se si vogliono attenuare le conseguenze negative date dall’utilizzo massiccio di tecnologia che fanno i tuoi figli. NON SOLO: la capacità empatica è l’ingrediente segreto di qualsiasi persona che sappia comunicare con gli altri, che sappia negoziare ed è un’ottima prevenzione alla violenza, oltre che il motore umano di questo mondo! P.s. : è stato fortemente richiesto sul mio gruppo di Facebook Piccolo Spazio Psicologia di trattare questa tematica rispetto a bambini e adolescenti, perciò mi accingo a presentarla. Intanto tu puoi iscriverti gratuitamente al gruppo da qui e farmi presente altre tematiche che vorresti vedere affrontate: Prima di cominciare facciamo un tuffo nel passato ... Era il 2009. Avevo bisogno di affrontare alcune questioni irrisolte con me stessa Frequentavo il primo anno di Università di psicologia a Parma e stavo cercando una persona, un professionista di cui potermi fidare e a cui potermi affidare, ma non avevo idea di che caratteristiche avrebbe dovuto avere questa persona, insomma a parte la competenza e gli studi, di chi mi sarei potuta veramente fidare? Un giorno per puro caso, andai ad una conferenza e la persona che la teneva mi fece sentire subito compresa, avevo detto pochissimo di me attraverso un esercizio, eppure sentivo che quella persona aveva capito chi ero. Intrapresi con lui un percorso durato diversi anni e da lui ho imparato l’arte dell’ascolto e della comprensione, per cui non c’è Università in grado di insegnarle se non vengono apprese con la pratica e l’esperienza. Dopo quasi dieci anni passati da quell’incontro, ricordo ancora la sensazione che avevo provato e ad oggi quando ricevo le persone, cerco sempre di pormi in quella condizione di ascolto e in quella sensazione. Ma cosa aveva avuto quell’impatto su di me? Che caratteristica aveva lui in grado di farmi sentire così? Compresa nel profondo. Più tardi negli anni mi risposi che l’empatia è alla base di tutto. Lo è nell’amore, nelle amicizie, ma anche nel lavoro, insomma in ogni tipo di relazione! Anzi, credo che perché esista una relazione, perché sia degna di essere chiamata tale, l’empatia è proprio una capacità che non deve mancare. Anche nel mio lavoro, come nel professionista che mi ha accolta tanto tempo fa, l’empatia è fondamentale: ci sono colleghi che basano tutto il loro intervento sullo studio, o sulle capacità tecniche, ma da sole queste non bastano, da noi le persone si devono poter sentir comprese, protette e condotte. Proprio per la delicatezza delle tematiche umane che incontriamo. Ma anche perché senza empatia, il cambiamento non si verifica, è la sensazione di essere amati, infatti, che ci permette di aprirci ed abbassare le nostre difese. È la percezione di essere amati che funge da esperienza umana correttiva rispetto alle strade poco adeguate che magari stavamo perseguendo e per cui avevamo chiesto aiuto. Ma che cos’è l’empatia? Lascia che te lo dica, senza questa capacità si va poco lontano nella vita. Per definizione, l’empatia è la capacità di mettersi nel panni degli altri, gli inglesi dicono “walk in your shoes”, la capacità di camminare con le tue scarpe, sul tuo percorso. Alcuni psicologi la descrivono come la capacità di vedere con gli occhi dell’altri, ascoltare con le orecchie dell’altro e sentire con il cuore dell’altro. La mia professoressa di italiano delle medie ci chiedeva sempre di svilupparla ed ecco perché la ricordo come uno dei più brillanti incontri della mia vita. Ad ogni libro che ci faceva leggere in classe, ciò che ci chiedeva era di metterci nei panni dei personaggi, che fosse il protagonista, un personaggio secondario o l’antagonista. Ricordo ancora quando ci aveva fatto leggere “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee Link: http://amzn.to/2kkJdZJ Ci chiedeva di dire quali potevano essere i pensieri di questi personaggi, i sentimenti di questi personaggi, come si sarebbero potuti comportare e così insegnò a tutta la classe il rispetto per l’altro anche se diverso. Non voglio anticiparvi nulla del libro sopra, anche se è un classico e sicuramente già lo conoscerete, ma parla di razzismo e lei ci insegnò che l’altro non è poi così diverso da noi. E così, se provo empatia difficilmente farò del male a chi ho davanti, poiché capite bene che sarebbe come fare del male a me stesso. Un’abilità molto utile quella dell’empatia, in un’epoca così individualistica come la nostra, dove ha importanza solo ciò che voglio io ed il resto non è un problema mio. Il 18 e 19 ottobre 2017, (vedi sotto la locandina del Convegno Translational relegante to conflict trasformation) a riprova di quanto sto dicendo, si sono trovati ad un convegno i maggiori esperti mondiali sulle tematiche psicologiche, educative, umane e hanno testato quanto sopra detto con degli esperimenti, uno dei quali è attivo proprio ora nei territori conflittuali di Gaza, l’empatia è l’antidoto alla violenza! Come dicevo prima, come posso far del male all’altro se lo sento come se fossi io? Mettersi nei panni degli altri aiuta a comprendere perché si comportano in quel modo e perché sentono in quel modo e ci può portare a sentire lo stesso sulla nostra pelle. L’esperimento che stanno facendo nella zona di Gaza sta avvenendo sui bambini Ed hanno già notato come l’educazione all’empatia sin da piccoli sia fondamentale perché questi la imparino e perché possano più avanti negli anni imparare a negoziare, a convivere o addirittura a condividere. E questo dipende dalla forma di empatia che si utilizza, ne esistono di due tipi infatti, ma lo vediamo più avanti L’empatia è una forma di prevenzione, è un modo di incanalare le nostre energie dal lato utile della vita, Se questo tentativo vale per Gaza, credo che a maggior ragione valga per le nostre cittadine, i social network, le nostre case, i nostri figli. Perché i social network e la tecnologia, talvolta, ci allontanano dalle nostre capacità empatiche? Per rispondere a questa domanda bisogna innanzi tutto essere consapevoli di cosa accade all’essere umano una volta che passa il suo tempo immerso a fissare dispositivi virtuali. Come prima cosa deve appunto fissare il proprio sguardo su uno schermo luminoso, artificialmente luminoso, altro che Leopardi che a furia di studiare era diventato cieco e gobbo, qui basta molto meno. Gli occhi si sforzano, la vista cala, il collo è obbligato a mantenere posizioni scomode e spesso anche dannose. Questo mette il nostro corpo in uno stato di stress, se non fosse abbastanza, il fissarci su quello schermo, ci isola dal resto del mondo, non abbiamo più contatti, se non virtuali, con altri essere umani, ma solo con un programma che ci risponde. Interattivo vero? Peccato che si perda presto la dimensione del tempo, dello spazio, per cui quando i ragazzi stanno a giocare con il telefono passano ore e ore prima che riescano a staccarsi. In quel tempo è solo la mente che funziona, solo i processi mentali continuano ad essere in moto, mentre il corpo è sempre fermo nelle due o tre posizioni possibili. Inoltre, il corpo viene dimenticato ed anche se si interagisce con un amico sui social o sulla playstation, entro in contatto solo con le sue parole scritte, ma non con il suo corpo. Per questo i ragazzi fanno più fatica a leggere le intenzioni dei coetanei, a leggerne le sensazioni ed emozioni espresse dal loro apparato fisico, dal loro viso. Dopo un po’ di tempo passato sul digitale, inoltre, il corpo stesso inizia a dare segnali di frustrazione, anche perché dopo soli venti minuti sui dispositivi digitali, i due emisferi cerebrali iniziano a lavorare in modo fisso e non più flessibile. Fino al punto in cui, inizio a consumare sempre più energia, senza che nulla mi rialimenti. Cosa significa? Il corpo vivendo produce calore ed energia, ogni componente e ogni cambiamento corporeo fa questo, mette in atto cambiamenti biochimici, anche quando abbiamo un’emozione liberiamo energia, differente a seconda del tipo di emozione. Se per esempio, andiamo a fare una passeggiata in un bosco, sulla riva del mare o in un prato pieno di fiori con il sole primaverile sulle spalle, consumiamo energia perché il corpo è in movimento, ma sole, piante e natura ci ricaricano con la loro. Poi noi esseri umani siamo molto dipendenti dalla luce solare, tanto è vero che nei paesi dove ci sono sei mesi di buio l’anno, è presente un alto tasso di suicidi. Ma anche stare con le persone, chiaccherare con qualcuno che per noi è piacevole, con cui siamo in sintonia, ci ridona l’energia che sprechiamo ad ascoltarlo. Insomma, il corpo si ricarica facendo attività, molto spesso anche facendo attività fisica bilanciata con il proprio essere, paradossalmente, non solo ci fa consumare energia, ma ci fa anche produrre endorfine dopo e quindi ci ridà quel senso di benessere, di pienezza, di ampio respiro. Questo non accade con il digitale. Noi sappiamo che quando mettiamo energia in quello, non torna indietro nulla, poiché non essendo un qualcosa di vivo e in movimento, ma un oggetto statico e passivo, ciò che spendiamo diventa solo una costo per il nostro corpo. Ci sono eccezioni a ciò e che possono parzialmente tamponare il risucchio di energia da parte delle tecnologie e sono le intenzioni e motivazioni per cui lo utilizzo. Ad esempio, ora sto scrivendo e fissando il computer e, a parte che per scrivere l’intero articolo, impiegherò più fasi, proprio per non esaurire completamente la mia energia, ma lo faccio perché la mia intenzione è aiutare, educare ed informare altre persone ed allora questo proposito mi dà uno slot di energia in più che posso consumare qui. Nel 2017, avete diritto a trovare questi tipi di contenuti gratuitamente e spiegati gratuitamente, poiché ritengo che tali informazioni non dovrebbero essere solo di proprietà della scienza e delle università. A proposito, dato che impiegherò diverso tempo a scrivere questo articolo, ti chiedo di condividerlo sui tuoi canali social, di modo che possa circolare il più possibile, a te non costa nulla, per me è molto importante come ti dicevo prima ed almeno le persone possono leggere contenuti sensati, invece che guardare solo cose demenziali! Riprendendo ciò di cui stavamo parlando, come fa una persona, un ragazzo, dopo ore in cui frusta il proprio corpo, dopo ore isolato in un modo virtuale, dopo ore in cui spreca la sua energia, a non essere aggressivo, irritabile, ecc? non può. Quindi, si comprende anche il perché sui social network ci siano così tante persone che postano commenti violenti, denigratori, che fanno azioni pericolose ed offensive nei confronti degli altri. I famosi leoni da tastiera. Persone che non tengono più a bada l’energia della rabbia, che così si rivela, senza una mediazione. Quindi, su questi dispositivi le nostre energie vengono un po’ trasformate, o perdono il controllo, perché la rete non inventa nulla, ma amplifica e fa perdere il controllo di cose che son già presenti in noi. Credete che i ragazzi siano in grado dopo ore passate su questi canali di empatizzare con qualcuno o qualcosa? No. Perciò devono essere educati nell’utilizzo, devono sapere queste cose, devono essere educati nella gestione delle loro energie. Anche solo per essere coscienti che è ora di staccare con il cellulare per oggi, pena: la perdita di un po’ di me stesso. Educarli all’empatia fin da piccoli, non impedirà al virtuale di agire, ma farà in modo che comunque loro abbiano maggiori capacità di gestione di se stessi e delle loro emozioni, che nemmeno il digitale può completamente mettere in discussione. Inoltre, dipende anche quanta energia io ho già a disposizione quando mi approccio alle tecnologie, se sono una persona in grado di vivere in armonia con il modo avrò un’alta capacità di gestione e di possibilità, al contrario se sono una persona già frustrata da mille altri aspetti della vita, più facilmente cadrò nella trappola. Quindi insegnare l’empatia permetterà ai ragazzi di prendere più energia da altre sfere della vita, per cui, successivamente, anche se ne perderanno un po’ nel digitale, non manderà comunque il conto in rosso. Nell’empatia è poi importante non solo insegnare a mettersi nei panni degli altri, ma anche a non essere completamente assorbiti dall’altro. Se mi metto nei panni di Debora, una ragazza con un padre violento, non devo al tempo stesso essere trascinata dalle sue sensazioni emotive, altrimenti, specie nella mia professione, saremmo in due a soffrire, ma lei ha bisogno di qualcuno che la possa comprendere e allo stesso tempo che la aiuti a venirne fuori. Se invece anche io dovessi soffrire come lei, non la porterei da nessuna parte. Abbiamo dunque due pericoli: non essere per nulla empatici e quindi non sentire di pancia l’altro ed esserlo troppo e venirne trascinati da un vissuto che non è nostro. In questo ultimo caso si parla di contagio emotivo, non più di empatia. Il contagio emotivo è di tutte quelle persone per cui le emozioni proprie ed altrui vengono sentite con il grado massimo di intensità, a volte si parla anche di persone emotive. Bisogna quindi educare i ragazzi anche a tenere la giusta distanza tra ciò che è loro e ciò che non lo è, ma soprattutto a non farsi sommergere dalle emozioni, poiché se si viene sommersi, si rischia di annegare. Il mio consiglio per insegnare questo è insegnare bene ai bambini o ragazzi o adulti quali siano i loro confini, se conosco il mio limite, oltre il quale inizia l’altro, conosco me stesso ed il nostro limite corporeamente è rappresentato dalla nostra pelle. Perciò è corretto che sentiamo gli altri anche un po’ sulla nostra pelle, ma non dobbiamo sentire noi per loro. Dobbiamo sentire come se fossimo loro, ma non sentirlo noi al posto loro. Che è la distinzione tra il gioco di realtà ed il gioco di finzione che fanno i bambini. Quando i bambini imparano il gioco di finzione è subito evidente, perché giocano COME SE, ovvero fanno finta che un giocattolo o un frutto o altro in casa sia una navicella spaziale, oppure fanno finta di preparare la cena con il fango e l’acqua. Giocano come se quella cosa che stanno facendo fosse vera, ma di fatto non mangiano il fango con l’acqua perché sanno che non è vero cibo! Purtroppo, ad esempio, nell’autismo questa capacità di fare come se non è sviluppata e questi bambini potrebbero davvero mangiare l’intruglio. Allo stesso modo le persone ipersensibili, non conoscono il confine tra ciò che sente l’altro e che io provo solo di rimando comprendendo ciò che gli è successo e ciò che sentono loro stesse, continuando a sottoporsi alle emozioni di tutti ed, inoltre, amplificano tutte le sensazioni ed emozioni. Questo li porta a non provare piacere nella condivisione, ma a sperimentare continuamente dolore o stati emotivi in successione troppo rapida e continua per il nostro corpo, che è continuamente sottoposto a sbalzi emotivi ed energetici. Talvolta l’emotività può creare un cortocircuito. Questo è, ad esempio, quello che capita quando si va in born out, cioè quando nelle professioni dove bisogna occuparsi degli altri, ad un certo punto non ce la si fa più e si scoppia e non si riesce più a stare a contatto con l’altro e, ad esempio, lo si distanzia diventando cinici, come quei medici che prendono in giro i pazienti. Perché la risata e la presa in giro, spesso, permettono di sdrammatizzare la situazione troppo carica emotivamente ed insopportabile. Due libri che vi consiglio per insegnare l’empatia e che possono essere adatti ad età differenti sono:
Come vedete nel primo caso, il libro è consigliato ai genitori, agli insegnanti, agli educatori per insegnare ai più piccoli come connettersi empaticamente con l’altro, mentre il secondo link è più indicato per preadolescenti e adolescenti, stimolando con una storia ed un fatto di cronaca la capacità di mettersi nei panni altrui. Ti lascio un link anche per gli adulti, perché sì, l’empatia si può insegnare anche agli adulti, anzi questo libro ti dà anche diversi esercizi da fare per renderti più empatico! La cassetta degli attrezzi dell'empatia di Mireille Bourret (Autore), G. Martinacci Link diretto per acquistare su amazon http://amzn.to/2yX5ile E d’altronde noi siamo i primi a doverla imparare se a nostra volta vogliamo educare le nuove generazioni. Due tipi di empatia Come vi dicevo prima, l’empatia ha differenti sfumature. Nel primo caso si parla di empatia cognitiva, ossia quella capacità di comprendere le ragioni ed i pensieri e le logiche altrui, questa caratteristica è molto importante ad esempio nelle fasi di negoziazione, dove le persone che devono raggiungere compromessi tra di loro, possono essere facilitate ad offrire soluzioni vantaggiose per entrambi tanto più riescono a comprendere le motivazioni altrui Nel secondo caso parliamo di empatia emotiva, cioè quella capacità di sentire le emozioni e le sensazioni altrui e per questo di prevederle, questa caratteristica è sicuramente molto utile in professioni come la mia, cioè professioni in cui si ha a che fare con aspetti intimi e delicati dell’altro. In entrambi i casi, l’empatia è una delle caratteristiche principali delle persone con un forte carisma e una forte leadership, cioè una capacità di gestione e conduzione dell’altro. A tale proposito, si può notare come spesso leader del calibro di Ghandi, oppure Martin Luther King fossero persone molto empatiche, a tal punto da comprendere le esigenze, i bisogni, le necessità altrui come proprie e di farsi portavoce di queste. Anche altre figure sono in grado di farci provare empatia nei loro confronti, come ad esempio, persone famose, ma anche persone che fanno parte della nostra vita e da cui ci sentiamo compresi. Anche le situazioni e non solo le persone possono essere in grado di farci provare empatia, per esempio, Natale è una situazione di condivisione per cui l’atmosfera ci mette tutti in uno stato d’animo più disponibile alla comprensione e al donare, non solo regali materiali. Tra poco è Natale, per questo ho scelto di parlare di empatia proprio in questo mese. Ma anche alcune tragedie possono farci sentire così coinvolti da provare empatia e compassione per le persone che le subiscono, ad esempio in Italia, quando è venuto il terremoto all’Aquila, tutti abbiamo empatizzato con ciò che era successo loro, magari la perdita di familiari, la paura della terra che trema, la possibilità di aver perso la propria casa, il vivere in un accampamento al freddo. Insomma siamo in grado di metterci nei loro panni. Perciò, fermati un attimo e vatti a vedere questo video, è il video di Beyoncè “I was here”, fatto per la giornata umanitaria mondiale promossa dalle Nazioni Unite il 19 agosto 2012, Guardalo qui: https://www.youtube.com/watch?v=i41qWJ6QjPI ti assicuro che ne vale la pena e così comprendi quale è la sensazione che provi quando provi empatia, non serve che conosci le parole, vedrai se hai pianto meglio così, significa che senti. Riusciamo tutti a metterci nei panni di chi è stato salvato, di chi ha lottato, di chi soffre, di chi ha meno di noi, di chi ha fatto bene il suo lavoro ed il suo lavoro è salvare vite. A volte alcuni di noi se lo dimenticano, perché? Perché lasciano che il loro senso di umanità si assopisca, perché vengono attratti da altri interessi, perché imparano a difendersi dalle emozioni, anche se queste esistono poiché sono funzionali al nostro organismo per adattarsi all’ambiente che ci circonda e così diventiamo assenti, anestetizzati, isolati. Ma è importante che i tuoi figli sviluppino questa capacità, poiché non solo gli permetterà di regolare le proprie emozioni, sensazioni nella vita di tutti i giorni e online, non solo gli permetterà di comprendere meglio gli altri e se stessi, non solo li educherà alla non violenza, non solo essere empatici previene altre problematiche psicoemotive e permette di avere buone relazioni di cui magari saranno anche i leader se lo vorranno, ma gli permetterà una cosa certa: essere sempre pieni di gratitudine per la vita, la loro e quella degli altri. E questo ci rimanda e ci ripaga con tanta di quella energia da alimentarci per diverso tempo! Sì, Sara, è tutto bellissimo, ma come si fa? Sapete quando vi parlavo del mio metodo di relazionarci con i figli?! Di cui ho già scritto in queste due guide, una su come spiegare a tuo figlio che ti stai separando e l’altra per spiegare a tuo figlio cosa è il suo disturbo dell’apprendimento: Il metodo è in sintesi, rispetto alle guide qui sopra: linguaggio, condivisione ed empatia. Davvero, vai a vedere cosa intendo, altrimenti potresti perdere dei pezzi. Bhè nell’ultimo passaggio del mio metodo c’è appunto l’empatia. L’empatia con i figli, talvolta, non è far qualcosa, ma essere, esserci. Talvolta basta ascoltare le ragioni altrui, comprendere quali siano i sentimenti che hanno mosso quell’azione, oppure quell’emozione, oppure quella determinata frase. Talvolta bisogna stare in silenzio e non rompere il flusso delle cose con le nostre parole, ma lasciare che siano gli altri a spiegarsi per quello che sono, per quel che riescono a comprendere di se stessi. Se tuo figlio ti dice una qualsiasi cosa sua intima che gli è capitata, sia bella che brutta, sia che sia bambino, sia che sia adolescente, sia che abbia 25 anni, non dirgli che è successo anche a te, non dirgli cosa deve fare, non dirgli che ha sbagliato, lascia che ti parli, lascia che esprima i suoi dubbi, lascia che ti faccia vedere in cosa è fragile, lascia che ti dica che non ce la fa, lascia che ti faccia essere fiera/o di lui/lei, lascia che abbia trasgredito e te lo motivi, ed al massimo chiedigli cose per comprendere meglio: “Dato che ti è successo questo, tu come ti sei sentito?”; “Secondo te perché lui si è comportato così?”; “Quali potrebbero essere le conseguenze di quel tuo comportamento?”; “Spiegami, ti ascolto”. Questi solo alcuni esempi, ma in base al vostro stile di dialogo e alle vostre, e dei vostri figli caratteristiche, modulatevi. Poi aggiungete qualcosa, Riconoscere il bisogno, o l’emozione provati da tuo figlio: “Ho capito che ti senti deriso..”; “Sento che questa cosa ti ha ferito..”; “Vedo che sei molto felice dell’accaduto, hai visto che ce l’hai fatta?”; “Da quel che mi hai raccontato, mi sei sembrato preoccupato..” E se mi racconta che ha fatto qualcosa di fuori luogo? Tipo che si è arrabbiato? Tipo che ha picchiato qualcuno? Intanto voi che rapporto avete con tristezza e rabbia? Perché in alcune famiglie entrambe queste emozioni sono accettate e quando qualcuno è o triste o arrabbiato viene comunque accolto per quel che è e magari contenuto, supportato, mentre in alcune famiglie nessuna delle emozioni “negative” può essere accettata, in altre ancora una delle due ci può stare mentre l’altra no, quindi quando fate fatica a riconoscere le emozioni di vostro figlio perché sono difficili per voi da accettare, chiedetevi voi cosa potete fare per empatizzare prima con le vostre di emozioni. Questo non significa che tuo figlio la passerà liscia, se il comportamento da lui utilizzato sarà completamente scorretto e dannoso, è chiaro che poi lo metterò anche davanti al fatto di chiedergli secondo lui, adesso, io come mi devo comportare. “Ti ho lasciato spiegare ed ho compreso che ti sei arrabbiato per questo motivo, forse questa cosa ti fa arrabbiare perché ti fa vergognare, perché la trovi come un’ingiustizia, ti rende triste, o altro, ma essendoti comportato così, che conseguenze otterrai? E secondo te, io ora come mi dovrei comportare? ” Poi è chiaro che se quella volta una punizione serve la si dà, ma mantenendo quanto più possibile un’energia amorevole e di spiegazione nei suoi confronti, anche se ci ha fatto arrabbiare, perché i tuoi figli devono crescere ed imparare a gestirsi, alcune cose può essere che le facciano in automatico, altre no. Sbagliare fa parte della crescita, ma se lo condanni per gli errori che fa? Se lo additi come un pestifero? Come uno scansafatiche? Come un bambino caratteriale? Cosa accadrà? Può essere che la tua profezia si autoavveri.. I bambini ed i ragazzi non sono adulti in miniatura, non si autogestiscono automaticamente, glielo dovete insegnare! E dovete sapere anche che certe cose, certe emozioni e certi comportamenti gli vengono peggio di altri, proprio come succede a voi. Basti pensare che fino alla terza superiore non si insegna filosofia poiché i ragazzi non hanno ancora ben sviluppato il pensiero ipotetico-deduttivo, che è quello che ti permette di ragionare d’astrazione, di fare congetture ed ipotesi e di comprendere a pieno le conseguenze morali ed etiche. Non sono adulti in miniatura. Le punizioni poi, sarebbe meglio che non privassero i tuoi figli di qualcosa, ma che li obbligassero ad aggiungere cose da imparare, ma questo lo vediamo in un altro articolo. Spero che questa guida ti sia stata utile e che ti abbia fatto comprendere quanto è importante insegnare l’empatia a se stessi e agli altri, sin da piccolissimi, quando impari a donare, inizi ad ottenere. Visto il clima di feste ti faccio tanti auguri di Natale e buon 2018, Un abbraccio, Sara. P.s. se ti interessano le tematiche come questa, ti consiglio anche di iscriverti al mio videocanale Youtube Piccolo Spazio Psicologia, troverai già una trentina di video sulla psicologia di bambini, adolescenti, giovani adulti e tutti coloro che si occupano di queste nuove generazioni come genitori, insegnanti, allenatori, educatori, ecc.
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