"Mamme Connesse"
Informazioni virtuali per connessioni reali.
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
Oggi ho voluto offrire alle mamme del blog l’opportunità di sapere come le tecnologie influiscono sulla didattica a scuola e come i propri figli possano vivere tale influenza, intervistando chi di esperienza dal vivo ne ha da anni: Rita Marchignoli. Rita è docente presso la Direzione Didattica di Fidenza (PR), Scuola Primaria “De Amicis”È anche formatrice di docenti per il Ministero della Pubblica Istruzione, collabora con il CREMIT (Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Informazione e alla Tecnologia) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è animatrice digitale per la Direzione Didattica di Fidenza, autrice per la rivista didattica “Scuola Italiana Moderna” e riveste il ruolo di Samsung Educational Ambassador. 1. Che differenza c’è tra le classi come tradizionalmente le conosciamo e le classi in cui fai da “maestra 2.0”? La mia classe 2.0, che è unica nel mio Istituto, come differenza evidente rispetto alle altre classi tradizionali, ha proprio la strumentazione tecnologica. Al di là degli arredi, per cui ho anche dei tavoli particolari, più da laboratorio informatico che non da aula, vi sono strumenti quali la LIM (Lavagna Interattiva Multimediale), pc notebook in rapporto 2:1, di due studenti per ogni computer, i-Pad con un rapporto studente-strumento di uno per ogni bambino, videoproiettore e document camera, che utilizziamo indifferentemente a seconda di quelle che sono le proposte didattiche. È dal 2009 che utilizzo tutta questa strumentazione e ormai sono considerata esperta, in realtà sono un po’ “smanettona”, autodidatta; le emergenze, inoltre, mi hanno costretto ad avere anche qualche competenza di tipo tecnico. Il fatto di avere in classe anche il wi-fi, quindi un accesso web, aiuta moltissimo la didattica con le tecnologie (l’accesso alla rete è la condizione senza la quale non si può lavorare). La connessione mi permette di prendermi cura dei miei alunni oltre l’orario scolastico, poiché utilizzo anche ambienti di apprendimento online, che per le prime classi consistono principalmente nella condivisione di documenti, foto o video, sia con le colleghe che con i loro genitori, i quali sono stati precedentemente e adeguatamente messi al corrente e anche guidati e formati. Quando i bambini, invece, diventano più grandi, allora l’ambiente di apprendimento online permette il lavoro interattivo, collaborativo e la condivisione all’estero. 2. Che tipi di attività svolgete in classe con queste tecnologie e come le svolgete? Il lavoro parte sempre dall’esperienza, la realtà, la vita vera, la loro esperienza di tutti i giorni entra in classe. È chiaro perciò che la metodologia didattica cambia e non è assolutamente più una metodologia di tipo trasmissivo, ma l’introduzione di queste tecnologie necessita di un cambiamento della forma mentis del docente, che diventa più guida, tutor, coach, colui che sa, ma anche colui che guida, aiuta i bambini ad imparare. Perciò vanno rimodulati spazi, tempi e deve essere fatta una scelta anche sui contenuti. Cosa facciamo: lavoro collaborativo sul testo, lavori a coppia, a gruppo, a piccolo gruppo, individuali, con la costruzione di artefatti cognitivi che possono essere presentazioni, ricerche, piccoli articoli per il blog, risoluzione di problemi in modo creativo, utilizzo di app specifiche anche per bambini affetti da disabilità o con difficoltà di apprendimento, che però vanno bene per tutti, perché attivano le molteplici intelligenze di cui sono dotati. Cambia anche il modo di valutare dell’insegnante, che al giudizio sommativo, sente la necessità di valutare il processo per cui gli alunni alla costruzione di qualcosa o alla risoluzione di un problema. Ciò serve a gratificare le loro abilità, che si trasformano poi pian piano in competenze. È un lavoro lungo che non prescinde dalla presenza dell’adulto educante. 3. Che impatto ha sui bambini l’inserimento del digitale in classe e quali strumenti di solito preferiscono? I bambini vivono immersi nella tecnologia, siamo noi che abbiamo più la sensazione di un impatto positivo o negativo a seconda di quella che è stata la nostra esperienza. Gli alunni la accolgono con grande entusiasmo, per loro è naturale. Un docente che utilizzi quotidianamente la tecnologia in classe, a loro non fa nessuno scalpore, poiché vedono sempre i genitori utilizzare cellulari, tablet, ecc. per i più svariati scopi. Quello che invece deve risultare significativo è il come si utilizzano queste tecnologie. Se vengono utilizzate con consapevolezza, anche in classe, diventano parte dell’arredo, diventano invisibili, si utilizzano se servono, se non servono in quel momento non si utilizzano, ma si sa che sono a disposizione. Gli alunni sono rasserenati dal fatto che c’è chi li aiuta poiché le sa utilizzare correttamente. Gli strumenti preferiti maggiormente dai bambini dipendono molto anche dalle età: quando sono molto piccoli lo schermo touch è sicuramente quello che loro prediligono, perché sono già abituati a casa, poi è molto accessibile, intuitivo, non serve nessun tipo di abilità, invece interfacciarsi subito con le tastiere con quelle manine così piccole, all’inizio, può essere più difficoltoso, anche perchè occorrono conoscenze di letto-scrittura e decodifica del codice scritto. Quando invece diventano più grandi, dalla terza in poi per intenderci, si rendono conto che lo schermo touch, o l’applicazione in sé non è più sufficiente per le loro esigenze, che possono essere quelle di scrittura di un testo collaborativo, di creazione di presentazioni che necessitano di accortezze anche di forma,che tablet o altri dispositivi touch non possono dare, dato che l’applicazione di per sé ha delle opzioni limitate. Se poi hanno necessità di giocare con la tecnologia per “fare codice”, nulla può sostituire un pc portatile con una tastiera fisica. 4. L’apprendimento odierno è secondo te lo stesso tipo di apprendimento dei bambini di venti anni fa? Io insegno da venticinque anni e non mi sento di dire che sia tanto diverso l’apprendimento dei bambini odierni. Qualcuno la pensa così, dice che i bambini non sono più quelli di una volta e continua a perpetrare una didattica di tipo trasmissivo, aspettandosi che gli alunni recepiscano e se non lo fanno è perchè non sono attenti, non capiscono, non ne hanno voglia. L’apprendimento, da sempre, avviene per esperienza, imitazione e ripetizione. Studi neuroscientifici e di neurodidattica recenti provano questo:abbiamo oggi una differente e nuova consapevolezza di quello che avviene nel nostro cervello nel momento in cui apprendiamo. La differenza che forse notiamo, è che la modalità di apprendimento non è più così lineare, ma essendo immersi in un mondo molto complesso, con mille stimoli differenti, il loro apprendimento è di tipo reticolare, multimodale. Secondo me la differenza non la fanno tanto gli strumenti, ma l’adulto. Anche Freinet, anni fa, senza tablet, né strumentazioni di questo tipo, aveva capito che se si voleva cambiare la scuola, si doveva cambiare l’ambiente, perciò ha spostato la sua cattedra e con la predella ci ha fatto un tavolo di lavoro. Possiamo innovare anche noi e le nuove tecnologie ci aiutano 5. Come gli strumenti influiscono sull’apprendimento? Banalmente cito Gardner con le sue intelligenze multiple: gli strumenti tecnologici non fanno altro se non attivarle tutte. Il rischio grosso è quello di perdersi, un docente si sente investito di troppe responsabilità rispetto alla preparazione che può avere, o avere avuto, quindi il consiglio è di non perdersi nel mare magnum delle informazioni, ma selezionare quelle più utili per gli alunni. 6. Per quanto riguarda l’attenzione, come è nei giovani in aula con l’utilizzo degli strumenti tecnologici? Faccio riferimento, qui, alla mia fascia di età, che è quella della scuola primaria, poiché probabilmente, un docente di scuola secondaria di primo grado o di secondo grado potrebbe rispondere diversamente. Io dico che quella della gestione della classe e del mantenimento del livello attentivo è una storia nota, che risiede in quella che è la personalità del docente stesso, la differenza la fa sempre il docente, con la sua presenza fisica, la sua prossemica, la sua competenza, non solo disciplinare, ma formata di tanti aspetti, i quali devono attivarsi tutti affinché il lavoro d’aula sia redditizio per i ragazzi. Cosa occorre per far questo? Occorre formazione, metodo, tempo, molta passione e volontà di mettersi sempre in discussione, di non sentirsi mai arrivati. Il discorso dell’attenzione richiama poi il discorso della gestione, il fatto che gestire alcune classi sia molto difficoltoso, nessuno lo può negare, è verissimo, perché il mondo è molto complesso e anche in classe ci troviamo ad avere a che fare con tante religioni differenti, tante ideologie, tante culture e lingue diverse e tante difficoltà. Sicuramente questo spaventa perché non si riesce ad esserci sempre per tutti e forse nella misura dovuta, adeguata. La tecnologia qui viene in aiuto se la si sa usare, perché azzera le distanze, mette nella condizione di poter comunicare. Faccio un esempio banalissimo: arriva una bambina dal Senegal che parla solo il francese, io non riesco a comunicare perché il francese non lo so, attivo il Google Traduttore con la registrazione vocale e ci comprendiamo l’un l’altra; almeno all’emergenza ho sopperito con la tecnologia. Lo strumento tecnologico deve avere un’affordance, deve aver la possibilità di essere utilizzato in diversi contesti ed in diversi modi e dobbiamo essere noi docenti a scoprire come. 7. Quanto è importante che a scuola agli alunni venga insegnato in modo pratico come utilizzare il digitale in modo corretto e con contenuti adeguati? É fondamentale. La convivenza civile passa attraverso la consapevolezza di essere cittadini digitali, con delle responsabilità rispetto a come si “abita” la rete, perché il rischio non è tanto nello strumento che è una macchina, quanto nell’accesso che dà alle informazioni e queste sono in rete. Perciò è l’accesso alla rete che può essere rischioso se è non consapevole. Questo ai bambini occorre farlo capire in tutti i modi, anche ludici, attraverso esperienza diretta, per far comprendere che certe regole sono valide tanto nella vita reale, quanto e soprattutto nella vita virtuale. Alcune norme di buona creanza e di buona educazione sono trasversali. Il fatto di mettere i bambini in allerta ed educarli a riconoscere eventuali rischi è doveroso, ma finchè in primis noi adulti non siamo consapevoli dei rischi che si corrono in rete, difficilmente riusciremo ad educare in nostri figli in questo senso. 8. Quanto è importante che i genitori siano “connessi” con i figli, cioè è importante che siano loro vicini e facciano loro da supporto in queste nuove forme di apprendimento e di interazione? Sì, i genitori ci devono essere sempre e soprattutto in questo tipo di discorso. Allora cosa possono fare la scuola e altri tipi di servizi del territorio? Possono fare prevenzione, informare e formare i genitori. Il modo va trovato, perché se il genitore già oberato di tutte le sue preoccupazioni, già a volte sentendosi inadeguato per quanto riguarda i figli, o il contesto, difficilmente risponderà ad una chiamata perentoria o autoritaria. Io cerco di invitarli in modo anche informale, in alcuni momenti che vengono calendarizzati e li metto a contatto con le tecnologie insieme ai loro figli. Questo diventa un momento ludico e di aggregazione, che fa capire loro quello che si fa in classe, poiché loro vedono l’entusiasmo dei loro figli quando tornano a casa, ma il provare con mano e vedere cosa si fa effettivamente è molto utile, allora, da questi piccoli eventi, riesco poi ad avere una partecipazione anche ad eventi di più ampio respiro. Altre volte, invece, devo riconoscere che, vuoi per impegni personali, vuoi perché la sera si è stanchi, certe occasioni vengono un po’ disertate dai genitori, forse non le considerano ancora così pregnanti, quando poi la necessità si presenta, purtroppo, ormai il danno è fatto. La prevenzione dovrebbe essere innanzitutto. 9. Come vedi la scuola italiana e la didattica tra dieci anni? Si muoverà sempre più verso le tecnologie? Ho cominciato ad occuparmi di tecnologie nel 1997, specie riguardanti l’ambito didattico, poiché allora giovanissima avevo capito che questi strumenti potevano essere utilissimi. La scuola tra dieci anni spero di poterla abitare ancora, spero di poter dare un po’ di contributo, ma sicuramente non si torna indietro, anche se qualcuno vorrebbe. La scuola deve far entrare le tecnologie ed insegnare ad utilizzarle in modo corretto. Il Piano Nazionale Scuola Digitale dell’ottobre dello scorso anno, in questo senso parla chiaro, è un ottimo strumento da leggere ed è interessante. Tante opere sono state fatte, anche progetti, come spinta all’inserimento di nuove tecnologie a scuola, adesso ci sono anche finanziamenti europei , i famosi PON . Tuttavia, si è compreso che l’immissione barbara di strumenti tecnologici nelle aule, in realtà, non ha cambiato la scuola, abbiamo LIM, tablet, ecc dimenticati in cantina, che nessuno utilizza, perché ancora non c’è il cambio di mentalità e si ha paura ad utilizzare certi strumenti, quindi, capito questo, la necessità adesso è di formare le persone, c’è un grosso investimento nella formazione dei docenti rispetto a nuove metodologie innovative. Spero che la scuola tra dieci anni sia sicura e dotata di tecnologie che le persone sappiano utilizzare. 10. Ultima domanda, tra dieci anni, che tipo di apprendimento possiamo immaginare nei ragazzi? Secondo me, non sarà poi tanto diverso da quello attuale o che era anche venti anni fa, mi immagino che loro saranno molto più competenti nell’utilizzo delle tecnologie e nell’appropriazione non solo dei contenuti , ma anche del “fare codice”, cioè di piegare lo script alle loro esigenze, di programmare sviluppando il pensiero computazionale. Tra dieci anni ci saranno lavori riguardanti la tecnologia e la diffusione delle tecnologie che noi, al momento, nemmeno immaginiamo e quindi che avranno bisogno di persone preparate, competenti, esperte. Al momento c’è un buco enorme di competenze tra ciò che richiede il mondo del lavoro, che va avanti in modo supersonico e noi, che siamo rimasti indietro, ciò richiede delle competenze, che al momento, i nostri ragazzi non hanno. Sicuramente si faranno grandi passi dal punto di vista della robotica e della stampa 3D. Rimanete Connesse! Sono Sara Moruzzi, Psicologa presso studio privato, specializzanda in servizi sociosanitari del territorio di Parma ed autrice del blog "Mamme Connesse". Da anni aiuto genitori e figli a sviluppare strategie educative affettive e relazionali, sostenendo gli uni nel ruolo genitoriale e gli altri nel loro percorso di crescita. Credo fortemente nella costruzione di una buona relazione tra persona e professionista e ritengo che questa sia la vera matrice del cambiamento, al di là di qualsiasi diagnosi.
3 Comments
Silvia
22/9/2016 09:16:08
davvero molto interessante, grazie.
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