"Mamme Connesse"
Informazioni virtuali per connessioni reali.
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
30/3/2017 0 Comments La solitudine dei ragazzi digitaliCome è possibile vivere in una rete di contatti che si hanno tutti i giorni disponibili lì sullo schermo in tempo reale e sentirsi contemporaneamente soli? In una recente ricerca dell’Australian Relationship Queensland, si è valutato su un campione di maggiorenni, che esiste una correlazione tra utilizzo dei Social Media e solitudine (42% degli intervistati utilizzavano almeno 4 forme di comunicazione online, lamentando, tuttavia, sempre maggior sensazione di sentirsi soli) e mentre il famoso autore Anton Cechov sostiene che la vera felicità sia impossibile senza una quota di solitudine, purtroppo il sentimento di cui parlava non ha nemmeno più le stesse caratteristiche di un tempo che non era digitale. Così dobbiamo apprendere che quel caro e vecchio stato di solitudine, in cui era possibile raccogliere le idee, riflettere, creare e prepararsi alla comunicazione è ormai mutato e solo un ricordo. Attualmente, la solitudine di cui si può parlare è quella che Zygmunt Bauman definisce come un’”affollata solitudine”: dove la connessione sempre accesa porta all’isolamento e alla perdita del contatto con ciò che ci sta attorno. Anche i valori ed i principi per eccellenza dell’essere umano, che lo catalogavano come tale, sono profondamente cambiati: amore, amicizia e persino bene e male non hanno più gli stessi connotati. Un cambiamento epocale, designato anche dall’introduzione di questi strumenti digitali, infatti, non è raro che durante una seduta con adolescenti venga asserito: “ci siamo recati in quel posto, non perché ci piacesse, ma perché sarebbero venute delle foto migliori da mettere su Instagram”. Per questo si parla di crisi dei valori in generale, di crisi di coppia, di maggiori malesseri in ambito adolescenziale, di crisi lavorativa ecc. I nuovi psicologi nell’ambito della professione lo sanno bene, veniamo formati con la consapevolezza che la società sta patologizzando l’essere umano: sempre meno spesso arrivano persone con problematiche relative ai propri conflitti interni da voler risolvere, ma sempre più arrivano persone con problemi già al limite del malessere psichico, o con un malessere già più che avviato, così forte che a tredici anni gli impedisce di andare a scuola, di stare con i coetanei, ecc. Tutti e dico tutti questi ragazzi hanno domande sul mondo molto importanti, una spiccata sensibilità ed emotività, hanno ancora in sé i valori cardine dell’amicizia e dell’amore, ma il resto dei coetanei e della società anche adulta, sembra snobbarli per questo. Ed ecco che iniziano, alla loro età, a colpevolizzarsi, a sentirsi diversi, a sentirsi sbagliati e ad assumere caratteristiche psichiche, o comportamentali che li danneggiano. Infatti, in adolescenza, dove non c’è ancora una capacità di distaccarsi dagli eventi, di ponderare correttamente la situazione, prendendosi le proprie responsabilità, ma anche difendendosi dagli altri, si inizia a pensare che non si vada bene per come si è e spesso la tristezza è così forte che per non provarla e sentirsi male, ricorrono all’isolamento in casa, ai tagli, agli attacchi di panico, all’alcol, ecc. Praticamente diventa problematico chi non rimane in superficie, i social comunicano il preoccuparsi di cose frivole, come i vestiti, i viaggi ed il fare le foto da pubblicare e se si hanno altri interessi come l’arte, la scienza, se ci si pone domande sul tempo, sullo spazio, sulla vita, diventa un problema, specie perchè il mondo esterno rimanda quell’argomento come poco interessante. Quando ciò avviene, alcuni adolescenti interiorizzano inadeguatezza a vivere nel contesto sociale e amicale, si viene isolati, sentendosi sempre più soli, in cerca su internet di qualcuno uguale a sè, o in casa a fissare il soffitto cercando da solo di venire a capo delle proprie domande, senza possibilità di confronto. Tuttavia, noi adulti non ci comportiamo molto diversamente, ogni amico è qualcuno con cui andare a bere qualcosa il Sabato sera, niente di più. Non gli raccontiamo oltre della nostra vita, non gli comunichiamo davvero come ci sentiamo, come stiamo, tanto che la domanda “Come va?” risulta oramai del tutto inutile, poiché non c’è vero interesse nel sapere come si senta l’altro. Molti all’interno di sedute psicologiche riportano di sentire sfiducia nell’altro, di non poter veramente parlare di se stessi con le persone attorno e sottolineano che questo li fa sentire soli, isolati, poichè la tendenza della società è quello, invece, di mostrare il migliore lato di sè, quello sempre perfetto, di successo, quello di felicità. Ma allora come superare la nostra solitudine? La risposta alla prossima settimana! Rimanete Connesse! Sono psicologa presso studi privati e specializzanda in servizi sociosanitari del territorio di Parma e Fidenza relativi all'ambito minorile e alla tutela minori, collaboro con altri psicologi, neuropsichiatri, logopedisti, assistenti sociali, educatori ed insegnanti. Da anni aiuto genitori e figli a sviluppare strategie educative, affettive e relazionali, sostenendo gli uni nel ruolo genitoriale e gli altri nel loro percorso di crescita. Sono autrice del blog "Mamme Connesse", il quale intende essere punto di riflessione ed informazione per i genitori, i loro figli e le nuove dinamiche derivanti dall'utilizzo dei nuovi strumenti digitali, i cui articoli sono pubblicati anche dal portale GuidaPsicologi.it, con lo stesso obiettivo sono chiamata come formatrice per i genitori in diverse scuole del territorio con il format "Genitori Connessi". Sono psicologa dello sport per allenatori e giocatori del settore giovanile e prima squadra (serie D) della società Fulgor Pallacanestro di Fidenza, sostenendo entrambi nel continuo lavoro psicocorporeo, di motivazione e leadership e nelle dinamiche di gruppo del team. Credo fortemente nella costruzione di una buona relazione tra persona e professionista e ritengo che questa sia la vera matrice del cambiamento, al di là di qualsiasi diagnosi
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