"Mamme Connesse"
Informazioni virtuali per connessioni reali.
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
Avete mai provato quella sensazione, guardando il post di qualcuno, di ribollimento di sangue, gli occhi si fanno come due fessure ed il pensiero diventa: “Come lo odio, questo ha sempre tutto”?! A volte capita quando vediamo su Instagram che una persona è stata in un nuovo posto per le vacanze, a volte capita quando vediamo su Facebook che due persone hanno comprato casa e lo mettono come meta raggiunta, a volte capita su Linkedin quando ci arriva la notifica che tizio è appena stato assunto in un’azienda importante, a volte capita solo perché la nostra foto ha ricevuto meno like in generale, oppure rispetto a quella di un altro. L’invidia è un sentimento comune in ciascun essere umano, è sempre esistita e come ogni emozione ci dovrebbe essere utile per farci comprendere qualcosa di noi, non per cancellarla, ma, in questo caso, per accettare che quella cosa che desidereremmo, ma che non possiamo avere, non ce l’abbiamo e che abbiamo due possibilità: o mettiamo in campo più risorse per ottenerla a nostra volta, oppure rimaniamo consapevoli ed accettiamo di non poterla avere, senza odiare chi ce l’ha, perché quella persona che la possiede, non ce l’ha senza sforzo, o senza mettercene del suo. Come al solito Internet non inventa nulla, tuttavia, anche in questo caso, amplifica di molto i vissuti umani o crea più occasioni perchè tali vissuti si generino, con questo l'unica cosa da fare è imparare a gestirli. A volte allora i ragazzi, a cui è bene insegnare come gestire l’invidia nei confronti dei coetanei derivante dai Social Media, mi dicono: “Bhè ma io seguo Belen e lei è stata dotata di quel corpo e io no, quindi come la mettiamo?” oppure, “Io seguo Fedez e la Ferragni che hanno tutto quel che si può avere dalla vita e loro hanno sempre il dono di essere belli e bravi in qualcosa, quindi?!”. Bene, quindi, invece che sottolineare i talenti altrui, disprezzando se stessi per non avere gli stessi, cosa dovremmo insegnare ai ragazzi e spesso anche a noi adulti? 1. Quali sono i miei di talenti? Ciò che importa non è tanto sapere quali siano i talenti altrui, ma scoprire quali siano i propri. Questo in un ragazzo produce sicuramente autostima, può, infatti, grazie alla scoperta di se stesso, migliorarsi nel valutarsi e nel comprendere che lui/lei sono preziosi perché hanno risorse che se liberate possono portarli ad affermarsi nella vita, ognuno con le proprie capacità. È chiaro che a quell’età ci si confronta spesso con i coetanei, tuttavia si può insegnare loro di quali capacità dispongano, che possano essere sfruttate, come gli altri sfruttano le loro: sono capaci di disegnare? Di decorare? Di dipingere? Hanno la favella pronta e parlerebbero con tutti? Sono al contrario molto profondi ed intensi? Hanno energia fisica e psicologica da vendere? Sono persone astute? Hanno competenze logico-matematiche-linguistiche elevate? Sanno ballare, cantare, suonare? Hanno qualche passione? Fateli riflettere, arrivarci da soli e piano piano, gli sembrerà una conquista. 2. Fare paragoni utili: è chiaro che se io ho il dono della profondità, non è detto che abbia quello del canto, perciò è inutile che rimpiango di non averlo togliendomi così tempo anche di sviluppare il mio, non sapendo mai dove potrò arrivare con quello. Bisogna fare al massimo dei paragoni con persone vicine a noi come studi, lavoro o altre predisposizioni, non certamente paragonarsi a Zuckerberg, dopotutto, sappiamo che di inventore di Facebook ce n’è solo uno e che non possiamo essere tutti uguali. 3. Accettare che quel che non ho, non posso pretenderlo, ma al massimo migliorarlo o aumentarlo: se penso che non sono Fedez e voglio, però, guadagnare come lui a tutti i costi, è chiaro che vivrò una vita infelice, insoddisfacente. Continuare a seguirlo sui Social, forse, non farà che accrescere il mio senso di insicurezza, di disperazione perché non posso essere come lui, non posso avere le cose che ha lui, non posso fare le cose che fa lui o altri. Ma se io avessi imparato dai punti precedenti, potrei, invece che seguire tutti questi volti noti, raggiungere i miei di obiettivi e non quelli altrui. La realtà va accettata che ci piaccia o meno, altrimenti diventerà ancora più invalidante. Che una ragazzina in carne non abbia le stesse sembianze di Belen Rodriguez è chiaro, e probabilmente non arriverà mai ad essere come lei, ma oltre che non sprecar energia a volere un talento che non è nostro, oltre a sviluppare qualcosa di personale, è possibile, non solo accettare che non siamo lei, ma che magari, possiamo essere meglio dello stato attuale nell'ambito dell'aspetto fisico e che, quindi, possiamo migliorare per quanto la nostra struttura e costituzione ce lo permetta. Questo è essere propositive e far del proprio meglio, senza affannarci in cose che non potremmo mai raggiungere. E voi cosa fate per placare le insicurezze ed invidie dei vostri figli e le vostre? Rimanete Connesse! Sono psicologa presso studi privati e specializzanda in servizi sociosanitari del territorio di Parma e Fidenza relativi all'ambito minorile e alla tutela minori, collaboro con altri psicologi, neuropsichiatri, logopedisti, assistenti sociali, educatori ed insegnanti. Da anni aiuto genitori e figli a sviluppare strategie educative, affettive e relazionali, sostenendo gli uni nel ruolo genitoriale e gli altri nel loro percorso di crescita. Sono autrice del blog "Mamme Connesse", il quale intende essere punto di riflessione ed informazione per i genitori, i loro figli e le nuove dinamiche derivanti dall'utilizzo dei nuovi strumenti digitali, i cui articoli sono pubblicati anche dal portale GuidaPsicologi.it, con lo stesso obiettivo sono chiamata come formatrice per i genitori in diverse scuole del territorio con il format "Genitori Connessi". Sono psicologa dello sport per allenatori e giocatori del settore giovanile e prima squadra (serie D) della società Fulgor Pallacanestro di Fidenza, sostenendo entrambi nel continuo lavoro psicocorporeo, di motivazione e leadership e nelle dinamiche di gruppo del team. Credo fortemente nella costruzione di una buona relazione tra persona e professionista e ritengo che questa sia la vera matrice del cambiamento, al di là di qualsiasi diagnosi
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