"Mamme Connesse"
Informazioni virtuali per connessioni reali.
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
30/5/2018 0 Comments GDPR vieta i social ai minori di 16 anni: Quanto è importante la privacy online dei ragazzi?Dottoressa, ma come faccio a stare dietro a mio figlio sui social network? Non dovrei dargli la sua privacy? Si è iscritto ad Instagram e io nemmeno lo sapevo, ha solo dodici anni! Come è potuto accadere? Perché sui social i limiti d’età sono così bassi? Mia figlia non ha rispetto per la sua privacy e mette certe foto online che non le dico! Più volte mi sono sentita fare queste domande o affermazioni. Solitamente, in seduta, faccio in modo che il genitore trovi il suo stile per approcciare e relazionarsi con i figli riguardo questi argomenti digitali, aiutandolo a meglio conoscere i bisogni del ragazzo e la sua capacità genitoriale, ma adesso mi sembra ora di chiarire alcuni aspetti pratici oltre che relazionali. Un blog, d’altronde, nasce con l’intento di dare strumenti conoscitivi alla portata di tutti e da poter mettere in pratica fin da subito per il proprio benessere, Serve per dare input e stimoli da utilizzare nell’immediato, questa infatti la logica dei social, fare poi un percorso che richieda l’intervento su certe dinamiche famigliari, o personali dei ragazzi, è altro discorso e lì serve un viaggio di esplorazione di sè con un professionista. Ma per ora, facciamo alcune considerazioni! Sei pronta? Si comincia! Ci tengo a precisare che non si parla di fare qualche magia ed incantare i ragazzi per ottenere informazioni su cosa fanno sui social, o di invadere deliberatamente il loro spazio di privacy, o forse sì.. Parlare dei social con i ragazzi è ormai un dovere! Sin dalla fine degli anni ’80, quando nuovi dispositivi tecnologici rudimentali sono stati creati, si è introdotto un nuovo elemento da prendere in considerazione, che le generazioni precedenti non avevano dovuto affrontare: “Cosa comporta a livello fisico, psicologico ed educativo l’utilizzo degli strumenti tecnologici?” Qualche spunto lo puoi trovare sul mio blog “Mamme Connesse” e sul mio canale Youtube “Piccolo Spazio Psicologia”, ma presto vedrai che troverò il modo di mandare online il mio corso “Genitori Connessi”, che nel mio territorio è alla 5° edizione! Così potrai essere un genitore, educatore, insegnante, adulto formato ed informato sui fatti e con competenze educative di cui altri sono all’oscuro, a meno che non abbiano letto diversi articoli e manuali di psicologia ed educazione e combinato le varie informazioni! Non ti preoccupare, ti avviserò quando sarà il momento! Ma torniamo a noi! Il fatto è che dagli anni ’80 ad oggi la tecnologia e le sue possibilità si sono decuplicate, o forse centuplicate, pensate solo che in un minuto sul web accade questo: Pazzesco! In 30 anni e poco più, ci siamo ritrovati all’interno di una vera e propria Rivoluzione e questo ha comportato un radicale cambiamento anche nei nostri modi di pensare, di dare valore e significato alle cose, ma anche di comportarci. Va da sé, che anche le modalità educative sono cambiate, anzi DEVONO ESSERE CAMBIATE! Perché? Perché devono necessariamente contenere delle norme e dei valori che facciano riferimento a tutta l’educazione ai social network. Ormai questo tipo di educazione non è da considerarsi come un di più, ma come la base, assieme ad altro, da cui partire! Per le nuove generazioni non c’è, infatti, distinzione tra vita reale e vita virtuale, sono la stessa cosa ed entrambe contribuiscono a creare il loro mondo. Fanno parte di loro, per questo con i nativi digitali è facile, da loro psicologa, trovarsi a parlare in seduta del loro rapporto con il telefono e con le persone virtuali, o oggetti virtuali, all’interno di esso. Teniamo presente che il primo cellulare personale, in Italia, viene comprato da genitori o altri adulti vicini al ragazzo verso gli 11 anni e da lì inizia il loro processo di interazione con tutto il mondo che il cellulare permette. Esiste privacy ad 11 anni? Parlo spesso di questo argomento nelle mie conferenze ed è una delle prime cose che vogliono sapere i genitori. Bene, vi dico la mia! “La privacy ad 11 anni è la possibilità di chiudersi in bagno e scrivere un diario segreto, non di, potenzialmente, comprare un biglietto aereo per l’Inghilterra, fare un giro e tornare a casa, senza che nessuno sappia nulla”. Eppure se ci pensate, è proprio questo che accade con un telefono con la connessione internet, che potenzialmente ci può portare ovunque! Nel mio format “Genitori Connessi” spiego, infatti, che uno dei rischi è, ad esempio, quello per il ragazzo di essere soggetto a contenuti che non fanno per lui, non solo perché sessualmente connotati, ma spesso perché sono programmati dal punto di vista del marketing a pressare i teenager all’acquisto di un prodotto. Capiamoci bene, la mente di un adulto, forse, è pronta per resistere a certi tipi di richieste, tuttavia quella di un giovane no. Dopotutto, adolescenti e preadolescenti non sono adulti in miniatura, hanno la necessità di sviluppare ancora aspetti cognitivi, affettivi, emotivi, corporei, sociali, morali ed altro, che non sono completamente maturi come quelli di un adulto. Che il sistema dei social network voglia influenzarci all’acquisto o al consenso è, poi, sempre più evidente sulle home dei social stessi, in cui orde di professionisti ed aziende promuovono i loro servizi. Quindi, è colpa loro? Sì e no. Non lo è poiché il mercato ad oggi funziona così, ci saranno sempre più aziende liquide, ovvero presenti sulle sole strutture online, vedi gli e-commerce che sostanzialmente non sono altro che dei negozi, in cui da sempre entriamo per comprare qualcosa, ma in rete, senza i costi fissi dell’affitto di una locazione reale. Non è colpa dell’azienda nel caso in cui l’etica dietro la stessa preveda di mettere in target, ovvero di raggiungere persone interessate al proprio prodotto, che siano consenzienti, adulte, responsabili di sé e soprattutto informate sulla legge e sui fatti, dando la possibilità al proprio pubblico di scegliere liberamente se esserne parte o meno. A tal proposito, il mio sito, il mio modulo contatti online ed offline, i miei social sono stati aggiornati secondo gli adempimenti del GDPR – General Data Protection Regulation - Regolamento sulla privacy dell’UE 2016/679, di cui parleremo a breve. La colpa c’è, invece, quando l’azienda non è trasparente su ciò che sta facendo, affida a terzi dei dati senza il consenso delle persone interessate, lascia che ragazzi, senza l’età necessaria, si registrino sulle proprie piattaforme agilmente, semplicemente dichiarando che sono più grandi. È molto noto il caso Cambridge Analytica, in cui Facebook ha perso migliaia e migliaia di dollari in borsa, proprio perché il suo pubblico è venuto a conoscenza che aveva dato un’enorme mole di dati personali e relativi gusti di acquisto e politici ad un’agenzia, senza il loro consenso, che li ha poi riutilizzati per direzionare il comportamento delle persone nelle politiche americane, in cui ha vinto l’attuale Presidente Trump. Questo è successo anche con i dati di cittadini europei, senza alcun minimo controllo, fino al 25 maggio 2018, per quanto riguarda l’UE. Che cos’è allora questo GDPR di cui abbiamo tanto sentito parlare? Il GDPR è un Regolamento sulla privacy in cui l’Unione Europea prova ad uniformare le leggi europee sul trattamento dei dati ed il nostro diritto ad essere in pieno controllo delle informazioni che ci riguardano. Perché ci dovrebbe interessare se questo è un blog di psicologia ed educazione? Il fatto è che questo regolamento sulla privacy prevede degli obblighi anche per i provider come Facebook, Instagram, Snapchat e tutti gli altri, nei confronti dei loro iscritti, che sono una moltitudine sempre più crescente di preadolescenti, adolescenti e giovani adulti. La normativa prevede che tutti i social network modifichino le proprie condizioni d’uso sul consenso al trattamento dei dati personali, il che significa che, per chi ha meno di 16 anni, d’ora in poi, debba esserci un genitore o tutore che dia il suo consenso ai termini di utilizzo dei social. Ed anche che per tutti i ragazzi al di sotto dei 13 anni è vietato l’utilizzo di queste piattaforme, in seguito ad una legge statunitense del 1998: il Children's Online Privacy Protection Act. Inoltre, sarà vietato il riconoscimento facciale fino alla maggior età italiana. Che cos’è il riconoscimento facciale? Gli ingegneri ci studiano da anni e sostanzialmente riguarderà la capacità dei dispositivi elettronici di riconoscere il nostro volto e da questo riconoscere le emozioni che proviamo grazie all’analisi della nostra espressione facciale, per esempio, quando guardiamo un prodotto, per comprendere che effetto ci dà. Inquietante.. lo so, ma forse anche utile, ancora non sappiamo per che scopo verrà utilizzato, temo però che se riguarderà solo il suo abbinamento al marketing avrà un mero scopo produttivo e non di valore. Pertanto, piattaforme come Facebook, Whatsapp e Twitter si sono già messe al pari con la legge, invitando tutti i ragazzi tra i 13 e i 15 anni ad iscriversi con il consenso digitale dei loro genitori, in caso non sia presente l’autorizzazione, alcuni provider hanno risolto il problema dando ai piccoli utenti una versione meno personalizzata del social, condivisione limitata e annunci pubblicitari meno rilevanti. Mentre altre piattaforme come Snapchat, Telegram e Signal non si sono ancora pronunciate in merito. Va aggiunto, però, che ogni singolo Stato dell’UE può modificare la soglia dell’età a propria discrezione. E l’Italia come si muove? Lo schema presentato al Ministro della Giustizia dalla Commissione Finocchiaro suggerisce di fissare ai 14 anni l’età minima per l’accesso ai servizi forniti dai social. Perché è stata fatta questa richiesta? Si pensa che porre il divieto di utilizzo fino ai 16 anni costituisca una soglia ideale, ma di fatto, difficilmente attuabile nella vita di tutti i giorni, dove i ragazzi non potrebbero così utilizzare nemmeno applicazioni come Whatsapp, inoltre, si ritiene che in questo modo, non solo i ragazzi ed i genitori e le scuole e gli enti educativi debbano educare all’utilizzo dei dispositivi digitali, ma che fissando il divieto non sopra ai 13/14 anni, anche l’intero mercato si debba responsabilizzare, tenendo conto che online possano essere presenti anche utenti di questa fascia d’età. Infine, fissare una soglia di possibilità di utilizzo relativamente bassa, richiede alle famiglie, ai ragazzi e alla comunità di rimanere allerta e di non deresponsabilizzarsi, continuando la loro politica di formazione, informazione ed educazione preventiva. E poi, diciamocelo, c’è anche un grosso giro d’affari dietro, purtroppo sembra che tutto in questo mondo giri attorno ai soldi e al potere, nonostante il vero potere non sia quello, ma di questo ne parleremo in altre occasioni. Nonostante l’immagine sembri rassicurante, è pur vero che queste norme sono facilmente aggirabili dai ragazzi, che sono sempre più competenti online, poiché basta registrarsi dichiarando che l’età è più alta di quella effettivamente posseduta, per poter evitare ogni richiesta di autorizzazione. Inoltre, gli adulti lo sanno che più una cosa è proibita, più, negli anni dell’adolescenza e della preadolescenza, diventa ambita. Questo è dovuto soprattutto al fatto che è assolutamente vero che i ragazzi hanno bisogno di essere tutelati dal punto di vista della privacy, ma è altrettanto vero che è una richiesta specifica della fase adolescenziale quella di poter fare esperienza, di potersi “sporgere” sul dirupo per provarne il brivido e sapere di cosa si tratta. Inoltre, è tipico di questi anni desiderare di essere visti, specie dai propri coetanei, che acquistano sempre più un’importanza vitale per i ragazzi e la costruzione della loro identità e per rispondere ai loro bisogni di emancipazione dalla famiglia d’origine e di autonomia. Ma Sara, prima ci hai detto che è giusto tutelare la privacy dei nostri figli perché tendono a non rendersi conto dell’impatto che hanno i dati e i contenuti che mettono online e che si disperdono nella moltitudine del web e adesso ci dici che è in parte funzionale lasciare che i ragazzi si sperimentino online? Lo so, essere genitori ed adulti è difficile, bisogna continuamente stare nel mezzo, quando ci piacerebbero invece soluzioni preconfezionate ed univoche! Purtroppo non è così. Ma allora come fare? Nella Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza troviamo, forse, una via di mezzo tra due soluzioni opposte: vietiamo ai ragazzi l’utilizzo dei social per proteggerne la privacy ed il benessere psico-fisico-relazionale, oppure concediamo loro tutto? Questa via di mezzo si può trovare nel concetto “best interest of the child” – nel miglior interesse del bambino – ovvero di fare ciò, che a seconda della legge, dell’età, dei bisogni e della maturità di un figlio può essere da noi approvato. Mi spiego meglio, ad 11 anni, probabilmente studiare storia tramite un video su Youtube, o utilizzare una piattaforma online per l’apprendimento può essere assolutamente utile, perché risponde al bisogno del ragazzino di ricevere un’istruzione e quindi l’utilizzo degli strumenti è nel suo miglior interesse. Non credo invece che a quell’età sia necessario essere su Instagram per relazionarsi con i compagni. A proposito dell’apprendimento scolastico attraverso strumenti digitali, poi, lo scorso anno il MIUR – Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca – ha stilato un decalogo che supera la direttiva del 2007 in materia di utilizzo dei telefoni cellulari e di altri dispositivi elettronici a scuola, con il BYOD (Bring Your Own Device – Porta il tuo dispositivo personale), la scuola ammette l’utilizzo in classe dei propri dispositivi digitali, che devono essere utilizzati con ben presenti gli obiettivi di tale scelta, ovvero permettere l’educazione digitale dei bambini, l’apprendimento innovativo e la comunicazione e lo scambio continuo tra la famiglia e scuola, e queste 10 regole: Quindi, rispetto all’utilizzo positivo degli strumenti digitali a scuola, perché si, le nuove tecnologie hanno anche diversi aspetti positivi, se ne volete sapere di più in merito, ho svolto un’intervista per un giornale di Fidenza e dintorni “Cara Val Stirone” alla docente e animatrice digitale Rita Marchignoli, Samsung Educational Ambassador, formatrice per docenti presso CREMIT (Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Informazione e alla Tecnologia) dell’Università Sacro Cuore di Milano e dell’URS dell’Emilia-Romagna (Ufficio Regionale Scolastico), autrice per la rivista didattica “Scuola Italiana Moderna” e del libro “EAS e pensiero computazionale. Fare coding nella scuola primaria”, il giornale è in vendita nelle edicole del territorio, ma ritornando a noi, d’altro canto, un ragazzo di diciassette anni senza nessuna possibilità di sperimentarsi online, rischia di veder leso il suo bisogno di avere una propria voce nel mondo digitale abitato dai suoi coetanei, di costruire connessioni con gli altri e di iniziare ad avere e costruirsi un’opinione pubblica e di essere emarginato dal suo habitat e dai suoi abitanti, mentre sarebbe suo interesse che ciò non avvenisse. Sull’argomento “privacy e minori” si è dunque dibattuto molto, basti pensare al libro di Aldo Cazzullo “Metti via quel cellulare” , che vi consiglio di leggere, il libro ha scatenato un polverone poiché al suo interno contiene un dialogo serrato tra un padre che chiede ai suoi figli di liberarsi della rete e dei suoi rischi e due figli che gli parlano delle opportunità che la stessa può offrire. Tuttavia, per rimanere nella adulta via di mezzo di cui parlavamo prima, bisogna superare le prime due condizioni, ovvero quella di sentirsi impotenti nei confronti dell’avanzare sempre più massiccio di questi strumenti digitali, ma anche quella della rabbia e frustrazione nel doverli gestire e non sapere sempre come e cosa fare, perciò bisogna essere sempre più formati come genitori, di modo che, nel poco tempo che talvolta rimane a disposizione per i figli, dopo lavoro, si possa essere efficaci nel proprio compito. A tal proposito, se nell’articolo “Come insegnare le regole ai nativi digitali” abbiamo parlato di stili genitoriali, cioè lo stile educativo che ogni genitore utilizza nei confronti di suo figlio nella gestione dell’affetto e del controllo, con l’avvento della tecnologia, secondo il Professor Pier Cesare Rivoltella, Direttore Scientifico CREMIT, si può parlare di nuove relazioni famigliari nell’era delle reti digitali. Nell’articolo “Voi quale famiglia siete? Dalla lassista alla mediattiva, scoprite il vostro modello!” vengono elencate le sei tipologie di famiglia che il Professore indica nel capitolo “Media digitali e social, educazione e famiglia” del Nuovo Rapporto CISF 2017. Come è ben evidente dall’immagine, anche in questo caso, pur facendo riferimento al rapporto triadico famiglia-figli-digitale e non diadico famiglia-figli, l’autore, parla della capacità del genitore di portare affetto nella relazione, ma anche di educare e di controllare nell’utilizzo del digitale,
dove idealmente, nella famiglia mediattiva, il genitore è in grado di fungere da educatore e controllore, ma, soprattutto, è in grado di far sì che il ragazzo sviluppi una propria capacità di regolazione nell’utilizzo sensato del web e dell’elaborazione di ciò che questa connessione può far emergere, proprio per consentirgli di sviluppare senso e pensiero critico. A questo proposito, se è vero che uno dei 3 rischi maggiori online è quello di contenuto, come dicevamo prima, essere una famiglia mediattiva, può certamente aiutare il ragazzo a formulare una propria capacità di giudizio rispetto a ciò che vede, che legge e che ascolta sul web. In realtà, alcuni dati di una ricerca scientifica di Blank G., Bolsover G., Dubois E. del 2014 ci dà ottime speranze e ci dice che sempre più adolescenti online non sono poi così sprovveduti e che lo sono meno degli adulti. Sembra infatti che, loro stessi, tengano particolarmente al concetto di privacy e che adottino alcune strategie come la selettività del profilo, che non può essere visto dai non follower, grazie ad un’impostazione da loro selezionata, per tutelarsi. Aggiungo un mio personale pensiero prima di salutarti per questo mese, quello che è certo, dunque, in un sistema sempre più complesso e connesso, è che deve essere necessario da parte dell’adulto non solo l’educazione, il controllo e l’affetto, ma appunto la possibilità di far sì che il ragazzo sviluppi il senso critico. Per fare ciò, i tre concetti sopra citati non bastano, ma è necessario, a mio parere, un quarto elemento indispensabile nell’educazione dei ragazzi e non solo rispetto al digitale, ovvero la possibilità di fornire un significato, un pensiero e una riflessione sul mondo, su ciò che si sta facendo e sul perché lo si sta facendo e che ricadute questo ha su di me. Quando parlo di significato e riflessione, non parlo del ragionare meramente razionale in cui dici a tuo figlio cosa fare, pensare e come. Una comunicazione non solo direttiva ed esplicita, ma che lasci aperte domande, che porti il ragazzo, con il suo tempo e non immediatamente il giorno dopo come spesso pretenderemmo, a trovare le sue risposte, le sue direzioni interne, che non sono le nostre e che, talvolta, non rispecchiano le nostre aspettative. Oltre che educare il comportamento e l’azione, come adulti dovremmo essere in grado di educare pian piano alla costruzione del significato che la vita ha e che fornisce senso all’esistenza di ogni singolo uomo, compresi i ragazzi. Anzi, con le crisi adolescenziali, gli adolescenti è proprio questo che cercano, un senso e significato superiore alla semplice esecuzione di azioni concatenate e scandite nel tempo per risolvere un problema o raggiungere un obiettivo. La vita deve avere un senso, una missione, una finalità ultima per cui trovo il tempo, la forza, la volontà e il significato per viverla. Senso che si affina e si specifica con il tempo e con l’esperienza. L’uomo è tanto altro oltre alla sua performance, c’è un mondo simbolico al suo interno, dove il digitale e la privacy online possono occupare e rimandare a chissà quali significati personali e collettivi. Per alcuni rappresenta il mago che con una magia (click) porta alla soddisfazione di un bisogno interno, per altri rappresenta il distacco da una madre interna alla quale bisogna nascondere i propri fatti e mantenerli così privati, per altri ancora rappresenta la propria casa, senza discernimento tra ciò che è utile e possibile mettere online e ciò che non lo è. Allora per ogni tipo di significato dato da una persona, il lavoro dovrà essere differente e ciò ci rimanda all’impossibilità di utilizzare un metro che vada bene per tutti, almeno in psicologia, specie se è dinamica, poi la legge naturalmente deve fare il suo compito, che però non è al mio. Se hai domande in merito, o se ci vuoi far sapere come la pensi a riguardo, ti invito ad iscriverti al mio nascente gruppo di confronto e condivisione su Facebook Piccolo Spazio Psicologia (per iscriverti gratuitamente, clicca qui ). A presto, un abbraccio, Sara.
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