"Mamme Connesse"
Informazioni virtuali per connessioni reali.
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
Dott.ssa Sara Moruzzi - Psicoterapeuta dello Sviluppo Umano
Michela ha quasi dodici anni, è una ragazzina molto timida, introversa e riservata, quasi ermetica, tanto più in questo particolare periodo della sua vita, in cui il passaggio dall’essere una bambina al divenire un’adolescente si sta rivelando ancor più carico di significati che non si possono esprimere, di accadimenti che bisogna nascondere. È una ragazzina molto bella, dotata di buona logica e capacità scolastiche, ma affettivamente schermata, con i suoi buoni motivi per esserla. È spesso sola, ha necessità di gestire se stessa ed ogni tanto le capita di far da balia anche ai fratelli più piccoli, glielo si legge in faccia che è triste, a volte anche un po’ scocciata dalla vita, ma comunque sempre bene educata, fin troppo. Con una ragazzina così difficilmente si può fare un lungo discorso sul proprio interno, specie perché c’è difficoltà a parlare anche degli avvenimenti di vita quotidiana, ma su un argomento in particolare, questa settimana, si è potuto discorrere e riflettere: la privacy sul cellulare. Probabilmente alla fine di questo anno scolastico, Michela riceverà, come regalo per i suoi sforzi, un telefono. La ragazza ha già in mente il modello, ma quello che mi colpisce è che lo scelga perché, con quella tipologia di cellulare, sia possibile andare in sede, dove viene comprato, e si possa chiedere di registrare la propria impronta digitale come unica possibilità di renderlo utilizzabile. Cioè la ragazza vuole che mettendo il dito sopra il pulsante principale, possa accedere solo lei e nessun altro. Curioso no? Come abbiamo detto in altri articoli, in verità, sarebbe opportuno che i ragazzini non avessero a disposizione una così enorme privacy a quell’età, poiché sarebbe come dare il permesso di prendere il treno, arrivare a Milano, farsi un giro e tornare indietro e questo capite bene che non può avvenire per un essere umano che non è nemmeno ancora un adolescente, il quale non sa nemmeno cosa significhi fino in fondo la parola privacy, specie sul cellulare, da cui, potenzialmente, può acceder ovunque, a qualunque tipo di contenuto, altro che Milano. La privacy a quell’età può essere andare in bagno chiudendo la porta per non farsi più vedere dagli altri, poiché effettivamente ci si rende conto che il proprio corpo sta cambiando, ma pare intuitivo che il viaggio a Milano non è opportuno, non ancora. Inoltre, è curioso il fatto che una ragazzina così ermetica voglia mettere sotto chiave, anzi sotto impronta digitale, il proprio mondo di amicizie ed altro e non è un caso che le sue caratteristiche nel reale combacino con le scelte che vorrebbe prendere nell’utilizzo del digitale. Michela sta da sempre tenendo sotto chiave la parte delle sue emozioni, dei suoi affetti, si controlla ed è un asso in questo, quindi è curioso che faccia un’azione uguale con la tecnologia. Nell’articolo precedente (3 aspetti psicologici positivi del digitale) abbiamo detto che le nuove tecnologie, di per sé, non inventano nulla a livello psicologico nei ragazzi, infatti la tecnologia non può essere considerata come una sostanza psicoattiva alla pari delle droghe che producono effetti collaterali immediati e non dopo l’assunzione, ma gli effetti dipendono dal tipo di utilizzo e dal grado di ritiro sociale che generano. È pur vero che tanti adolescenti sperimentano nuove forme di sofferenza, dovute senz’altro alla società digitale in cui siamo assorbiti, società che, attraverso l’utilizzo di questi strumenti connessi, permette anche il non focalizzarsi dell’uomo sulla crisi economica, sul decadimento dei valori umani, sulla crisi della coppia, sulla mancanza di tempo e di condivisione, ecc., modificazioni purtroppo assodate da sociologi, psicologi ed altre figure professionali. Tuttavia, le nuove forme di disagio come per esempio il ritiro sociale, o dalla scuola, del ragazzo sono sì nuove modalità di manifestare la sofferenza che prima non esistevano, ma ciò che si modifica è, appunto, solo la modalità di espressione, non il tipo di sofferenza. Quello che sto cercando di dire è che, di fatto, internet non inventa nulla del ragazzo, non lo devia in qualcosa, a meno che lui o lei non siano già da soli su quella strada. Quindi quando mi dicono che se non ci fossero stati i telefonini i loro figli non si sarebbero filmati nudi e messi online, gli rispondo che probabilmente hanno ragione, ma che altrettanto probabilmente avrebbero avuto dei problemi di gestione del proprio corpo e della propria sessualità, che magari si sarebbero manifestati in altro modo (come adottare realmente condotte sessuali a rischio), ma che comunque esisterebbero. Proprio come accade per Michela, la sua chiusura e volontà di non aprirsi al mondo, o la sua necessità di nascondere, contenere, non essere invasa, esiste comunque, il telefono ce lo rende più evidente. Internet fa questo, massimizza le possibilità di espressione, senza però che poi ci sia la possibilità di ritrattare, cosa che invece avviene nella realtà e come massimizza l’opportunità di collegarsi e comunicare, lo fa anche con altri stati d’animo negativi o difficoltà. Rimanete Connesse! Sono psicologa presso studi privati e specializzanda in servizi sociosanitari del territorio di Parma e Fidenza relativi all'ambito minorile e alla tutela minori, collaboro con altri psicologi, neuropsichiatri, logopedisti, assistenti sociali, educatori ed insegnanti. Da anni aiuto genitori e figli a sviluppare strategie educative, affettive e relazionali, sostenendo gli uni nel ruolo genitoriale e gli altri nel loro percorso di crescita. Sono autrice del blog "Mamme Connesse", il quale intende essere punto di riflessione ed informazione per i genitori, i loro figli e le nuove dinamiche derivanti dall'utilizzo dei nuovi strumenti digitali, i cui articoli sono pubblicati anche dal portale GuidaPsicologi.it, con lo stesso obiettivo sono chiamata come formatrice per i genitori in diverse scuole del territorio con il format "Genitori Connessi". Sono psicologa dello sport per allenatori e giocatori del settore giovanile e prima squadra (serie D) della società Fulgor Pallacanestro di Fidenza, sostenendo entrambi nel continuo lavoro psicocorporeo, di motivazione e leadership e nelle dinamiche di gruppo del team. Credo fortemente nella costruzione di una buona relazione tra persona e professionista e ritengo che questa sia la vera matrice del cambiamento, al di là di qualsiasi diagnosi
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